“Sarà pure epoca di cambiamenti climatici, ma qui a Mondello, Sicilia, come da tradizione l’estate è già arrivata. A metà marzo il sole lascia sul lungomare pennellate di luce, calda abbastanza da invogliare uomini e donne di ogni età a correre su e giù in canotta e pantaloncini o a sdraiarsi, addirittura in costume, sulla spiaggia. Nessuno in acqua, perché tira vento e il mare avrà la temperatura del ghiaccio, ma ti guardi intorno le basse colline affacciate su una costa da perderci gli occhi, i volti distesi di chi ha la fortuna di respirare aria di paradiso sulla Terra – e capisci che a queste latitudini anche la retrocessione in B del Palermo verrebbe mandata giù come un boccone amaro ma tutto sommato digeribile. Anche perché la classifica è quella che è (la squadra è terzultima a 7 punti dall’Empoli che occupa l’ultima piazza utile alla salvezza) e l’eventuale salto all’indietro sarebbe visto dal tifoso come il suggello della fine dell’epoca Zamparini e l’inizio dell’avventura, tutta ancora da decifrare, del neo proprietario Paul Baccaglini. «Qui c’è il sole, il mare, la bella vita…Mancano solo i risultati». […]. Altro che “Nestocoso”, come lo aveva ribattezzato Fabio Caressa su Sky dopo le prime partite, aggiungendo il carico da undici: “Questa è una pippa”: «Ma a me non frega niente di quello che dite tu, Caressa o qualsiasi altro giornalista. Io so chi sono. So quanto valgo. Sapevo che l’Italia, Palermo, erano l’occasione che aspettavo da tanto. E sapevo che ce l’avrei fatta».
Perdoni, ma in Inter-Palermo del 28 agosto lei tutto sembrava tranne che un giocatore da Serie A. Cosa è cambiato da allora? «Una cosa sola: in campo io ho imparato a conoscere i miei compagni e loro hanno imparato a conoscere me».
Si aspettava di arrivare in doppia cifra nei gol a questo punto della stagione? «In Croazia, dove giocavo prima di arrivare qua, un giornalista mi fa: “Non hai paura del calcio italiano?”. Rispondo: “Io ho paura solo di Dio”. Quello insiste: “Ma non hai paura di fare panchina, o peggio ancora tribuna?”. E io: “Ascolta. Quando sono arrivato qua, avete detto: questo non può giocare nel campionato croato. Alla fine di quel campionato ero capocannoniere. Adesso ti dico che a Palermo segno minimo 10 gol”. Ero sicuro. Pirlo dice che il calcio si gioca con la testa, i piedi sono solo degli strumenti. E io sono forte nella testa».
Una forza che le viene naturale o le è stata inculcata? «Pirlo dice che il calcio si gioca con la testa, i piedi sono solo degli strumenti. E io sono forte nella testa. Ce l’ho da sempre ed è cresciuta giocando in Macedonia, Repubblica Ceca, Croazia: l’Europa minore del calcio. Solo essendo forte nella testa potevo sperare di uscirne. Al Metalurg Skopje finii fuori rosa perché io sono uno che parla in faccia. All’allenatore avevo detto subito cosa non mi andava. Lui la prese male, ma a me non fregava niente» (ride).
Lei ha fatto un largo giro, per arrivare dov’è ora… «Un giro troppo largo…».
Appunto. E ha appena compiuto 27 anni. Non è vecchio… «Ma neanche giovane».
Perciò, se si guarda indietro, prevalgono i rimpianti o i rimorsi? «La Macedonia è piccola: pochi campi da calcio, status da extracomunitario…Sono arrivato a 16 anni in A col Pobeda, a 20 sono andato in Repubblica Ceca,allo Slovacko, convinto che giocare lì fosse il trampolino per la vicina Germania. Non conoscevo una parola della loro lingua e non parlo inglese, la gente non è ospitale come a Palermo, eppure debutto con gol e assist. Dopo tre mesi mandano via l’allenatore che mi aveva voluto e per me cambia tutto. In peggio. Mi mandano in prestito al Viktoria Zivkov per sei mesi. Torno in Macedonia, al Metalurg, e l’allenatore mi dice: tu giochi se non giocano altri dieci prima dite. E poi mi mette fuori rosa. Penso: se questo deve essere il mio calcio, basta col calcio. Mi do un’ultima possibilità, in Croazia. All’Inter Zapresic, in B. In campionato la prima stagione faccio 20 gol, la seconda 24. Veniamo promossi e al mio esordio in A, l’anno scorso, sono capocannoniere con 25 gol. In una squadra che vale il Palermo in Italia. Pjaca, che oggi sta alla Juve, digol ne ha fatti otto nella Dinamo Zagabria, una delle più forti, dove giocava anche il napoletano Rog. Per dire che il campionato croato non è così scarso. E di quel campionato io sono il terzo capocannoniere di sempre, dopo Eduardo con 34gol e Vlaovic con 29».
Ha sempre giocato in questo modo, come unico riferimento in attacco? «Ho giocato in tutti i modi. Ho fatto la prima e la seconda punta, l’esterno a sinistra e a destra nella Under 21 macedone… C’è stato un periodo in cui dovevo pensare più al cross che al gol, ma è chiaro che mi piace di più il ruolo che ho adesso».
A Palermo ha cambiato quattro allenatori: Ballardini, De Zerbi, Corini e Lopez. Con chi si è trovato meglio? «A questa domanda non rispondo. Ti posso dire che io parlo con tutti, compagni e allenatore, e se qualcosa non mi va lo dico».
Che cosa le piace del calcio italiano? «Mi piace affrontare i grandi giocatori e mi piacciono i tifosi. Ho dovuto abituarmi a un calcio fisico, a volte pure troppo, e veloce. Ma non c’è problema».
E di Palermo cosa le piace? «Tutto. Prima di arrivare sono andato a cercarla sulla cartina e poi ho visto su internet le foto di Mondello, dove mi avevano detto che abitano i calciatori. Me ne sono innamorato a prima vista».
“A proposito, è vera la storia secondo la quale la prima volta che vide la sua futura moglie disse: “Questa donna sarà mia”? «Ho fiducia in me, ma per conquistare Martina ci ho messo 6-7 mesi. Lei è più grande di me di tre anni. L’ho conosciuta che io ne avevo 17 e lei 20. Ero troppo piccolo, diceva, non era convinta». E poi? «E poi ha capito che sono un fenomeno. Bello. E calciatore». Martina ne sa di calcio? «All’inizio zero. Adesso è il mio allenatore privato. Dopo la partita mi fa certi cazziatoni… “Perché non sei andato a saltare su quel cross di Rispoli? Perché non ti sei buttato dentro su quel passaggio?”». E lei? «Se ho vinto e segnato, rispondo. Se no, le dico di andare a dormire»”.
Zamparini ha detto che lei somiglia a Pippo Inzaghi. «Io sono più forte (ride). La verità è che a me non piacciono i paragoni. Non sono di quelli che dicono: “Il mio idolo è Cristiano Ronaldo, il mio idolo è Messi”. No. Il mio idolo sono io».
Sarà pure l’idolo di Prilep, la sua città. «Il mio testimone di nozze ha un bar che ha chiamato “30” come il mio numero di maglia. Quando gioca il Palermo si riempie. E se io faccio gol, caffè gratis per tutti. Però se la partita è andata bene io sono contento soprattutto per papà. Dopo ogni sconfitta mi scrive: non ce la faccio, mi fate morire, non potete farmi questo, adesso muoio. Poi aggiunge: no, adesso prendo tre pastiglie per calmarmi»”. Questa l’intervista integrale a Ilija Nestorovski pubblicata oggi su “Sport Week”.