Morte Mihajlovic, Zeman: «Allegro ed eroico, porto con me il suo ultimo bacio»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla morte di Mihajlovic e il ricordo di Zeman.
«Mister posso portarlo a Trigoria? Vorrebbe vedere un allenamento e farti qualche domanda…». Organizzò la visita il nostro amico comune, Andrea Di Caro. Continuava a dirmi che ci saremmo piaciuti e avrei scoperto un ragazzo speciale. Fu lui il “cupido” della nostra amicizia. All’epoca allenavo la Roma, era il 2012, Sinisa Mihajlovic si presentò vestito elegantissimo, con una ventiquattrore. Ci sedemmo all’aperto e cominciò a farmi mille domande sul mio 4-3-3, sulla preparazione atletica, su come allenavo l’attacco e la difesa. Era curioso, prendeva appunti, immagazzinava tutto. Ma non mi stava interrogando un giovane ex calciatore con velleità da tecnico, no, Sinisa era già un mio collega e allenava la Nazionale della Serbia. Capii subito che dietro quel sorriso allegro, la battuta pronta nel duetto con Totti che venne a salutarlo, si nascondeva un uomo ambizioso ma umile, appassionato del suo lavoro e con la voglia di lavorare e crescere. Mi piacque subito. Proseguimmo la chiacchierata a tavola.
L’uomo che tutti spesso vedevano come duro e spigoloso, quando eravamo insieme aveva sempre il sorriso stampato sul volto. Mi salutava ogni volta con un “ciao mister” pieno di allegria. Io mi divertivo a stuzzicarlo e prenderlo in giro per farlo arrabbiare. Sinisa era uno spettacolo quando si incazzava… Gli dicevo che me lo ricordavo da avversario quando tirava tutte le punizioni in Curva ed era un pericolo per gli spettatori. Lui subito si faceva serio: «Io?! No mister guardi che si sbaglia con un altro. Io non ho mai tirato in Curva. O segnavo o prendevo l’incrocio…». Io lo vedevo che si mordeva la lingua per non mandarmi a quel paese. E il bello è che ci cascava sempre! Poi abbozzavo un sorriso e lui capiva che lo stavo prendendo in giro. Anche se ci siamo sfidati su panchine opposte, c’è sempre stato un rapporto di grande affetto: lo trattavo, anche per età, come si fa con un figlio. E credo che lui mi riservasse quel rispetto che si deve a un genitore. Quando raccontava qualche spacconata o gli episodi che facevano saltare i nervi in campo, mi strappava sempre un sorriso. E mi emozionava sentirlo parlare della sua infanzia spesso difficile nella ex Jugoslavia. Lì da uomini dell’Est ci capivamo con lo sguardo e confrontavamo epoche e ricordi.
Quando in occasione della presentazione del mio libro a Roma l’1 dicembre si è presentato facendomi una bellissima sorpresa, mi sono commosso. Sapevo che stava male e so che enorme sacrificio ha fatto per esserci. Mi ha abbracciato e baciato sulla fronte, come si fa con un papà, e io che di solito evito pubblici gesti di affetto gli ho accarezzato la mano con tutta la tenerezza e l’affetto che avevo per lui. Non l’ho voluto vedere negli ultimi giorni in un letto d’ospedale e non sarò al suo funerale. La morte è odiosa e la sua mi provoca troppo dolore. Voglio invece ricordarlo sorridente, come quella sera. Porterò sempre con me il suo ultimo bacio.