L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta le parole di Gianni De Biasi in merito al Palermo.
La chiama «La mia Palermo». Gianni De Biasi, oggi ct dell’Azerbaijan dopo il “miracolo” Albania, con i rosa visse tre anni tormentati nei quali, «polentone per la prima e unica volta al sud», imparò le nozioni essenziali della vita sull’erba: retrocessione, promozione in B, fallimento. E di una città misteriosa e piena di contrasti. «Palermo mi è rimasta nel cuore. Ho vissuto un periodo felice, malgrado le vicissitudini e l’omicidio del presidente Parisi. L’ho sempre considerata come una seconda terra di origine. Ho trovato gente calda e accogliente e soprattutto sono guarito dalla gastrite e dalla colite accumulate a Brescia (ride, ndr)».
Perché sorride? «A Palermo trovai nuovi usi e costumi. Per esempio, ci davamo appuntamento a un certo orario e io, da buon veneto, mi presentavo cinque minuti prima e non trovavo nessuno. Chiamavo e mi dicevano: “Sto arrivando” e ovviamente erano ancora a casa. Piano piano mi sono abituato a quei ritmi, rilassandomi».
Alla Favorita è tornato da allenatore nel 2001 l’anno della promozione del Modena e del Palermo dalla C alla B e della vittoria contro i rosanero nella Supercoppa di C. «Stagioni indimenticabili, doppia impresa dalla C alla A con elementi poco noti che volevano mettersi in mostra, unico straniero il senegalese Kamara. Contro il Palermo in Supercoppa vincemmo sia in trasferta che al “Braglia”. Eravamo a fine stagione e quindi entrambi soddisfatti. Rispetto ai rosa però avevamo ancora fame. Si giocava bene tanto che in B riuscimmo a battere il Napoli per 4-1 e la Salernitana di Zeman per 5-2, ma perdemmo a Palermo (gol di Bombardini e rigore di La Grotteria, ndr), Dopo la salvezza in A sono andato a Brescia per la libidine di allenare un campione come Baggio. A metà del secondo campionato,
pensarono di esonerarmi e di… retrocedere. Ognuno decide di ammazzarsi come cavolo vuole».
Domani, Modena-Palermo, sfida delicatissima. «Il Modena ha avuto un avvio complicato come del resto il Palermo. Sembrava in risalita dopo i tre successi, interrotti dallo stop di Pisa. Ha una solida proprietà alle spalle, la famiglia Rivetti, e non nasconde le ambizioni della A, un po’ come ai miei tempi. I rosa non riescono a uscire dalla crisi. Ce n’è per una partita che potrebbe segnare il cammino delle due società».
La galassia City chiede solo pazienza. «In teoria, il Palermo ha il vantaggio di un programma senza scadenze immediate. Nessuna premura, dunque, ma l’idea di raggiungere la A spingendo sulla continuità, sulle strutture e sul fatto che la piazza, sede di tante partite della nazionale, punta ad avere l’Europeo del 2032, Italia permettendo».
I tifosi hanno Corini nel mirino. «Cacciare l’allenatore è il leitmotiv di quando le cose vanno male. Una sconfitta per tutti perchése il tecnico non ha problemi con i giocatori non c’è motivo di esonerarlo. Per il nuovo arrivato ci vuole tempo e non sempre è la medicina giusta».
La magia può essersi interrotta con il cambio di prospettive e le dimissioni di Baldini? «Conosco Silvio da sempre, abbiamo fatto il corso di allenatore insieme, eravamo anche nella stessa stanza. Una persona speciale, una “pecora nera” in questo calcio che non ama valori profondi. Mi somiglia. Il suo mondo è stato messo da parte troppo in fretta dopo il miracolo della promozione ottenuto lavorando sull’autostima dei ragazzi, aspetto che mi piace, quando nessuno pensava che potesse accadere. Cambiare strada comporta sempre dei rischi».