L’edizione online de “Il Corriere dello Sport” si sofferma su Messias.
Il suo nome sembrava quello di un predestinato, la sua vita ci ha raccontato ben altro. Junior Walter Messias – 31 anni il prossimo primo gennaio – è stato per un’eternità un travet del pallone. Sì, è stato: oggi ufficialmente non lo è più. E la sua storia sembra scritta da uno sceneggiatore americano. Misteri e gioie dello sport. Dentro quel gol da un colpo di testa, in Champions, al Wanda Metropolitano, con la maglia del Milan dell’idolatrato Kakà e nella notte che mai avrebbe neppure osato sognare, c’è tutto un mondo spalancato alla luce della gloria. Con i tormenti e le speranze, le illusioni e le cadute, il sacrificio e le passioni, l’alcol e la Bibbia.
Brasiliano di Belo Horizonte chiamato a Torino dal fratello, Messias i gradini del calcio italiano li scala con la pazienza di un missionario: dall’Eccellenza alla D, dalla C alla B, fino a esordire in serie A con il Crotone, il 20 settembre 2020, in un pezzo d’Italia, la Calabria d’oriente, affacciato su un mare indocile. Junior le passa tutte, le categorie. All’inizio, però, con un impiego alle spalle, preferendo il salario certo di fattorino a quello volatile di un piccolo club piemontese. Il calcio a quei livelli è puro divertimento, non un lavoro vero e proprio. Il lavoro è altro: trasportare elettrodomestici a domicilio, ad esempio. «Quando sono venuto in Italia non immaginavo che sarei arrivato così lontano».