Maxi squalifica a Curto, Binda lo difende: «Sua frase a Hwang una presa in giro, non c’è razzismo»

 

Il mondo del calcio italiano è nuovamente al centro delle discussioni per una questione di razzismo, questa volta riguardante il difensore Marco Curto, attualmente in prestito al Cesena dal Como. La FIFA ha recentemente inflitto a Curto una squalifica di cinque giornate per un episodio avvenuto durante un’amichevole, dove il giocatore ha rivolto a un avversario sudcoreano, Hwang, un commento considerato razzista.

La frase incriminata, “Si chiede di essere Jackie Chan”, ha scatenato un’ampia polemica, considerata da alcuni come un chiaro esempio di razzismo, mentre altri la vedono come un malinteso culturale più che un insulto basato su pregiudizi razziali. In quest’ultimo campo si inserisce il parere di Nicola Binda, giornalista de La Gazzetta dello Sport e profondo conoscitore del campionato di Serie B.

Binda ha espresso la propria opinione, mettendo in dubbio la decisione della FIFA: «Io capisco che si debba fare tutto il possibile per azzerare il razzismo negli stadi (e non solo), ma considerare tale il comportamento di un calciatore che ha detto a un avversario sudcoreano ‘Si chiede di essere Jackie Chan’, mi sembra francamente una presa in giro senza nessuna discriminazione razziale. Sarei un razzista se dovessi litigare con una persona di colore dicendo ‘Ma chi ti credi di essere, Tyson?’ Non mi pare…»

Queste dichiarazioni hanno riacceso il dibattito su cosa costituisca realmente razzismo nel contesto sportivo, spingendo ad una riflessione più ampia sulla differenza tra commento offensivo e discriminazione razziale. Il caso di Marco Curto sottolinea la difficoltà di tracciare una linea chiara in situazioni che coinvolgono sfumature culturali e interpretazioni soggettive.