Martina Piemonte: «Guadagno meno di un uomo, il problema è culturale»

Giorni fa, in occasione della Giornata internazionale della donna, Martina Piemonte, attaccante della SS Lazio e della Nazionale Italiana, ha raccontato il suo percorso nel calcio, sottolineando le difficoltà che ancora oggi affrontano le calciatrici, a partire dalla disparità salariale.
«All’inizio mio padre non voleva che giocassi»
Piemonte ha iniziato a giocare da bambina, ma senza il pieno appoggio della famiglia:
«All’inizio mio padre non voleva che io giocassi a calcio. “Una donna non può giocare a calcio”, mi diceva. Così mia mamma, insieme a mio zio, mi portò di nascosto a giocare con mio cugino. Mi allenavo con i maschi, non c’erano scuole calcio femminili».
Col tempo, però, il padre ha cambiato idea:
«Ora è diverso. È diventato il mio più grande tifoso. Ha visto che ero felice ed è tanto orgoglioso di me».
«Lavoravo come barista per mantenermi»
La carriera della calciatrice è stata costellata di sacrifici:
«Ho fatto tanti sacrifici e li faccio tutt’ora, ma pesano meno con l’esperienza. Quando ero al Verona a 18 anni, non ci pagavano e lavoravo come barista la sera per mantenermi. Poi sono andata al Siviglia, la mia prima grande esperienza. Mi mancava casa, quando chiamavo mia mamma per dirle “mi manchi” piangevo».
«Guadagniamo meno perché il calcio femminile ha meno seguito»
Il professionismo è stato un passo avanti, ma non basta:
«Più che un traguardo, è un punto di partenza. La strada da fare è ancora lunga, ma i club italiani si stanno impegnando per costruire qualcosa di grande per noi».
La vera differenza è economica:
«Non abbiamo la stessa retribuzione degli uomini perché il calcio femminile non ha lo stesso seguito e la stessa risonanza mediatica. Per questo non ci sono introiti e non abbiamo gli stessi stipendi. Il problema principale è culturale, più che delle società calcistiche».
«Il calcio è calcio, senza distinzioni»
Per Martina Piemonte serve un cambiamento di mentalità:
«Non mi piace parlare di “calcio femminile” e “calcio maschile”. Il calcio è calcio e basta. Bisogna far capire che noi non abbiamo niente in meno, è uno spettacolo meraviglioso, un calcio genuino e pieno di passione».
E il suo sogno per il futuro?
«Che tutte le bambine possano seguire il loro sogno, come ho fatto io. Magari con meno ostacoli. Così un domani potremo ritrovarci anche noi a giocare nei grandi stadi, all’Olimpico o a San Siro, come fanno in Inghilterra, circondate dal calore di migliaia di tifosi e milioni di spettatori».