Mancini resta e cambia l’Italia. Il C.T. non molla da perdente. Si riparte da Verratti e dalla Potenza di Zaniolo”

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sul futuro di Roberto Mancini che con molta probabilità sarà ancora alla guida della nazionale azzurra.

Oggi la Nazionale vola in Turchia per la partita più triste della nostra storia calcistica. Mentre domani tanti si contenderanno gli ultimi biglietti per il Mondiale del Qatar, noi giocheremo in amichevole contro un’altra trombata. Dovevamo essere a Oporto davanti a Cristiano Ronaldo, invece affronteremo Burak Yilmaz a Konya, città toccata a suo tempo dalla predicazione di San Paolo. Amen. Sulla torre con il Portogallo salirà la Macedonia. Roberto Mancini, che nel 2013-14 allenò il Galatasaray, sarà costretto a ricordare il gol di Sneijder, sponda di Drogba, che eliminò la Juve di Conte dalla Champions, su un campo fangoso arato ad arte dai bizantini: diagonale da destra che finisce nell’angolino oltre Buffon disteso in tuffo. Troppo simile al rasoterra di Trajkovski per non far male. Il suo Galatasaray approdò agli ottavi. A fine stagione lo avrebbe lasciato di nuovo in Champions, con una Coppa turca in più. Un bel congedo. Questo è il punto. Potrebbe Mancini lasciare la Nazionale ora? Dopo la traumatica eliminazione dal Mondiale, dopo una sconfitta casalinga con la Macedonia, mentre gli inglesi, che in estate si sono abbronzati a suon di schiaffi, ci spediscono sfottò a ripetizione.

Orgoglio e convinzione Il c.t., con i suoi ragazzi, ha scritto una favola inattesa. Non può chiuderla con un finale del genere, anche perché sa che nel disastro ci ha messo del suo. Roberto ha sempre fatto dell’orgoglio la sua bandiera. Ha impugnato le ambizioni di un club, escluso da sempre dal grande giro, la Samp, e lo ha guidato fino allo scudetto e a una finale di Champions, a Wembley. Nello stesso stadio ha fatto trionfare un’Italia esclusa dai pronostici. Quello stesso orgoglio oggi gli impone di restare alla guida della Nazionale, per organizzare la rivincita e un altro finale. Per dire, Mancini ha lasciato il calcio giocato, l’amore di una vita, il 14 febbraio 2001, San Valentino, a Leicester, nel giorno degli innamorati: un’uscita di scena di gran classe. Non la Macedonia. Presa la decisione importante (anche se il colpo di tacco a sorpresa non va mai escluso…), Mancini deve dare un senso alla partita più inutile del mondo, quella di domani. Roberto ricorda un’altra partita triste triste: la finalina di Italia ‘90. Che poi diventò una festa perché Baggio e Schillaci diedero spettacolo e, soprattutto perché alla fine azzurri e inglesi posarono, mescolati e abbracciati, in una foto che fu uno spot di fairplay. Ma noi avremmo dovuto essere a Roma per giocarci la finale del Mondiale italiano, non a Bari A Mancini sembrò ancora più triste perche Vicini, suo ex maestro nell’Under 21, non gli regalò un minuto neppure nell’ultimo atto. Ma quel Baggio avrebbe trascinato l’Italia in finale al Mondiale successivo. Ecco il senso di Konya. Può far sorridere, detto ora, ma l’inutile Turchia-Italia è il primo passo verso il Mondiale 2026. Mancini non è rimasto solo per orgoglio, ma anche per la convinzione che il gruppo europeo, ritoccato negli uomini e nel gioco, possa crescere ancora. «Rifondare» è parola sbagliata, perché lo spirito resta lo stesso: calcio dominante e offensivo. Molto meglio: «Sviluppare». Il calo di Jorginho e l’involuzione di Insigne impongono un ritocco al modulo del doppio-play che è stata la nostra fortuna, ma è diventato prevedibile. Sfruttiamo la ricca batteria di interni: Barella, Tonali, Locatelli, Pellegrini, Pessina… Nel 4-3-3 del Psg, Verratti viene affiancato da tipi tosti: Paredes, Gueye, Danilo…

Opera d’arte La nuova Italia potrebbe avere meno palleggio, ma più peso, più dinamismo e più verticalità. Qualità importante, perché la nostra forza sono gli esterni offensivi: Berardi, Chiesa, Zaniolo, Spinazzola… Prima ricevono palla in spazi aperti, più possono fare male. Mancini sa bene che se Berardi farà il salto in un grande club e comincerà ad abitare con continuità le notti di Champions, non tremerà più davanti a una porta vuota, come a Palermo. Acquisterà quella sicurezza e quella personalità che hanno permesso a Chiesa di diventare il Leone di Wembley dopo un anno di Juve. Il discorso vale anche per Scamacca e Raspadori che, fatte le debite proporzioni, possono dare a Mancini i movimenti di Drogba e Sneijder. Scamacca, già più cattivo sotto porta e più attrezzato tecnicamente, se non smette di crescere, può darci ciò che abbiamo aspettato invano da Immobile. Domani, anche per lui, un passo importante. Durante l’assedio di Sarajevo, uno scultore musulmano raccoglieva per strada le schegge delle bombe serbe e le trasformava in opere d’arte. E’ un po’ la missione di tutti: trasformare il male in bene. Ci proverà il Mancio domani a Konya: scolpire un’amichevole triste, una scheggia di Apocalisse, per cominciare a modellare la nuovo opera d’arte che verrà.