Mancini e l’Italia: «So che vincerò un Mondiale. Che errore non convocare Balotelli!»

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sull’Italia riportando un’intervista a Roberto Mancini.

Stasera quasi a mezzanotte, un anno fa. Roberto Mancini e Gianluca Vialli si scambiano lacrime bagnando visi e giacche, trent’anni di amicizia e di attesa, cinquanta giorni di alchimia perfetta. Un abbraccio lunghissimo, una foto per sempre: l’Italia campione d’Europa, l’impossibile che diventa verità.

Un anno dopo: tiriamo fuori un’altra foto da quell’album?

«Il momento in cui si fa male Spinazzola: una cosa troppo ingiusta per non prevedere un altro tipo di giustizia. E nello spogliatoio la corsa di tutti a farsi un selfie con la coppa: nessuna fretta, c’era tempo più tardi, ma era come se potesse scappare via».

Forse avevate già capito quello che oggi, anche per quanto successo dopo, è finalmente chiaro: era stato un mezzo miracolo. Meritato, ma miracolo.

«Un miracolo lo abbiamo fatto di sicuro, ma non solo in quell’Europeo: in tre anni e mezzo giocati alla grande. Capita che si vinca un grande torneo perché in quel mese va tutto bene: non è stato il nostro caso. Dietro c’era un percorso preciso: tante partite importanti, non solo sette».

Il seme più importante di quella vittoria, che continua a germogliare anche all’inizio del nuovo ciclo?

«Credere sempre nei propri mezzi, e anche al quasi impossibile. E soprattutto: se capita un’occasione, va presa al volo. Difficile fare un paragone con il gruppo dell’Europeo: quella che è ripartita a giugno è una squadra nuova e le mancavano cardini dell’altra che ci saranno ancora. E saranno importanti».

Lei ha ammesso di essere stato sfiorato dalla tentazione di lasciare: più dopo aver vinto l’Europeo o dopo aver mancato la qualificazione al Mondiale?

«Più la seconda volta: mi sono trovato in una situazione molto difficile. Un po’ ci ho pensato dopo Wembley, ma c’era il Mondiale a poco più di un anno».

Ci doveva essere. E a posteriori ha meditato su un possibile errore, almeno uno: non aver chiamato Balotelli per le gare con Svizzera e Irlanda del Nord.

«Prima di giocare con la Svizzera avevamo avuto dieci infortunati, fra cui Immobile: per una partita così, in un momento della stagione faticoso, chiamare Mario ci poteva stare. Ma gli errori si fanno sempre, anche quando le cose vanno bene».

Magari anche, quella sera all’Olimpico, non fermare Jorginho prima del rigore.

«Ero sicuro che segnasse: consideravo fuori da qualunque immaginazione che potesse sbagliare all’andata e al ritorno».

E dopo quelle due batoste con Argentina e Germania non ha avuto cattivi pensieri?

«No, avevo messo in preventivo che potesse capitare. Pensavo di perderne due-tre di fila».

Infatti, subito dopo il 5-2 con la Germania, ha detto: «Sono più fiducioso di prima, perché ho visto cose importanti». Ci spiega meglio cosa aveva visto?

«Anche per stanchezza e poca concentrazione, una serie di errori madornali, soprattutto in fase difensiva, che di solito non facciamo. Ma contro una rivale così superiore, con tanta esperienza di Champions, una squadra giovane rischia di non tirare mai: noi abbiamo tirato 16 volte, loro 19. Poi eravamo sotto 5-0 e non me l’aspettavo: ma la botta può aver fatto anche bene».

A cosa?

«A capire che serve concentrazione non da quando sei in campo, ma nello spogliatoio: ormai, soprattutto per le nazionali, anche la partita più semplice può diventare la più difficile. Figuriamoci quelle molto difficili».

Abbiamo scritto: questa nuova Nazionale ha più di Klopp che di Guardiola. Ci sta?

«Non siamo mai stati come il Barcellona: abbiamo gente brava tecnicamente, a cui piace giocare la palla, ma se c’era da verticalizzare, lo abbiamo sempre fatto. Bisogna trovare una via di mezzo, saper fare tutto: come già successo negli anni passati».

E come è successo al Real Madrid, che ha vinto la Champions giocando, però molto meno del Liverpool: come l’ha vissuta, un giochista come lei?

«In una finale così tesa ci sta che si riesca a vincere proponendo meno dell’avversaria. Ma il patrimonio che ha fatto vincere noi, resta il gioco: su quello non ci sono vie di mezzo».

L’ha detto senza giri di parole: il nostro problema è il gol. Come pensa di risolverlo?

«Se servirà, non avremo problemi a cambiare tipo di gioco per favorire gli attaccanti: possiamo valutare anche di giocare con due punte invece che con una centrale e due esterni».

E anche con la difesa a tre, che ha già provato?

«Si può lavorare pure su quella: non si vince per forza con un solo sistema. Ma recuperando Chiesa, e con Berardi in più, si può continuare anche così… Quel che conta è avere gente che giochi ad alto livello e arrivare al gol con il gioco, come abbiamo sempre fatto».

Psg uguale livello sicuramente alto: Scamacca al Psg non è una brutta notizia per un c.t.?

«No, no, anzi: glielo consiglierei senz’altro. Giocare all’estero regala esperienza, fa conoscere un calcio diverso, situazioni differenti. Aiuta a crescere».

Vieri ha detto: se Scamacca non fa almeno 20 gol, c’è qualcosa che non va.

«Ha tutto per essere un grande centravanti e lo sa. Però ci deve mettere qualcosa di più, anzitutto nel carattere: quando il livello si alza, qualità tecniche e fisico ti aiutano, ma non bastano».

A Gnonto pare non essere bastato debuttare in Nazionale per convincere un club italiano.

«Importante che i ragazzi giochino, molto più che dove. Spero di trovarne altri come lui».

Magari in B più che in A?

«Se ne ho chiamati diversi dalla B, è perché abbiamo seguito anche quel campionato con attenzione. Io la B la guardo di sicuro: quelli che giocano in A li conosciamo già bene».

Uno stage al mese, massimo ogni due mesi: ci crede davvero, per provare da vicino quelli che vedrà da lontano?

«Ci spero, più che altro: penso che si possa fare, soprattutto con i più giovani».

Torniamo agli attaccanti: cosa ha deciso Immobile, lascia o continua con la Nazionale?

«Ci ho parlato a maggio, pensavo potesse essere convocato ma mi ha detto che non stava bene: credo sarebbe venuto, a me non ha mai detto che non verrà più. Per me è l’attaccante che ha segnato di più negli ultimi anni».

Un rimpianto non aver potuto testare Pinamonti?

«Ero curioso di vederlo meglio, e per lui sarebbero state partite internazionali preziose, visto che non ne ha mai fatte».

Per Jorginho vale lo stesso discorso fatto per Immobile?

«Ha trent’anni, per noi è sempre stato un giocatore fondamentale: perché no?».

Anche perché non c’è molto altro, come “puristi” del ruolo.

«Cristante è adattato, Esposito e Ricci sono un po’ diversi ma ci si può lavorare: il primo è molto tecnico e ha personalità, il secondo ha più fisico. Ma noi in mezzo e anche in difesa non abbiamo problemi: dobbiamo solo trovare la strada giusta per creare più occasioni davanti».

In difesa serve ricambio: Romagnoli alla Lazio può significare un difensore recuperato?

«In Nazionale viene chi fa bene: quelli che non ci sono mai stati e quelli che ci sono stati già».

Zaniolo può lasciare la Roma: una forzatura o sarebbe meglio per lui e per la Nazionale?

«Questo non lo so. So che deve capire la fortuna che l’ha accompagnato: in un lampo ha avuto Nazionale e Roma, non può perdere ancora tempo e occasioni. Disperdere le qualità che ha».

Il dualismo con Keylor Navas è finito: la certezza del posto farà bene a Donnarumma?

«Quando sei così giovane può essere normale sentirsi un po’ più affaticato mentalmente e il giocare e non giocare di sicuro non lo ha aiutato».

Non gli dirà mai: «Gioca di meno con i piedi»?

«No, ma gli dirò: “Stai un po’ più attento”. Ci sono volte che non si può: tanto più contro squadre forti come la Germania, in una squadra con compagni così giovani, che non hanno praticamente mai giocato insieme»,

Il più giovane quella sera era Scalvini: in prospettiva, anche lei come Gasperini lo vede più centrocampista che difensore?

«Devo dire la verità: io, per l’età che ha, lo vedo semplicemente fenomenale. In difesa e anche a centrocampo».

Il Mondiale lo vedrà da commentatore tv?

«Al momento non ho preso nessuna decisione: l’unica certezza è che per me sarà un mese abbastanza doloroso. Purtroppo».

Però anche nei momenti più difficili ha continuato a dire: giochiamo per vincere il prossimo Mondiale.

«Da quando sono c.t. ho sempre avuto un obiettivo: vincere Europeo e Mondiale. Un anno fa, con la coppa in mano, mi ero detto: “Ne vinciamo uno dietro l’altro”. Pensavo a questo Mondiale, evidentemente non era questo. Ma continuo a pensare che ne vinceremo uno, sì».