Il vice-allenatore dello Shenzen si è espresso in merito alle misure adottate dall’Italia per la lotta al Coronavirus. Intervistato da “La Gazzetta dello Sport”, Massimiliano Maddaloni ha sottolineato le nette differenze tra la Cina e l’Italia per quanto riguarda la lotta al Coronavirus: «Ad inizio anno mi chiama Donadoni per avermi allo Shenzen e accetto. L’epidemia è già partita e, nonostante il focolaio sia lontano oltre mille chilometri, a febbraio andiamo ad allenarci, a Girona, in Spagna. All’arrivo nessun controllo. Terminata una prima parte di lavoro, i calciatori restano in Spagna, noi dello staff torniamo in Italia. Controlli zero. Dopo pochi giorni, riprendiamo il lavoro a Dubai. Controlli zero. E in quel momento, il virus già sta dilagando. A quel punto si decide di tornare in Cina, anche se l’inizio del campionato, fissato per il 1°marzo, è stato rinviato. Il 15 marzo sbarchiamo a Hong Kong e la musica cambia. Arriviamo in aeroporto, alle 5 del mattino, e ne usciamo solo alle 11. Noi dello staff veniamo portati in miniappartamenti collocati al 37° piano di un grattacielo, ci fanno il tampone e cominciamo la quarantena, con l’obbligo di misurarci la febbre due volte al giorno e comunicarla grazie a un app. Abbiamo il divieto di uscire dai nostri 50 mq, non possiamo neppure andare sul pianerottolo per parlare tra noi. Il governo, in collaborazione col nostro club, ci fa portare colazione, pranzo e cena, che ci vengono lasciati fuori dalla porta. È dura, ma credo che sia la strada giusta».