Lucca: «Dalla Serie D con il Palermo fino alla Serie A con l’Udinese. Ho capito quanto valgo. In Olanda solo zanzare»
L’edizione odierna de “La Repubblica” ha riportato una lunga intervista a Lorenzo Lucca, l’ex rosanero che dalla D col Palermo è arrivato alla A con l’Udinese e in Nazionale.
In un universo parallelo, Lorenzo Lucca, centravanti dell’Udinese, farebbe un altro sport e oggi scenderebbe in campo nella sua Torino per le ATP Finals. «A tredici anni ero molto forte a tennis e il mio allenatore insisteva perché lasciassi il calcio. Ma fin da piccolo avevo scelto la palla grande, da prendere a calci, e sono contento così». Nove gol nella scorsa stagione, Coppa Italia compresa, già sei in questa. «Per me è l’anno fondamentale. Arrivare in doppia cifra sarebbe una consacrazione. Sto crescendo, lo sento».
Lei è alto due metri. A Palermo la chiamavano “Luccatoni”, ora “Pennacchione”, come Mario Tontodonati. Quale preferisce? «Essere accostato a Toni è un onore. Mi ha dato consigli preziosi per trovare la cattiveria in area».
Ha fatto tanta gavetta. A 15 anni è passato dalle giovanili del Toro all’Atletico Torino, fra i dilettanti. «Una scelta tutta mia. Volevo spazio per crescere. E sui campi di provincia ho capito che davvero avrei potuto fare il calciatore. Lo rifarei. E ci vidi giusto anche a passare al Palermo in Serie D, all’ultimo giorno di mercato».
Il suo primo momento di gloria fu a Pisa tre anni fa in B: sei gol in otto partite a inizio stagione. «Era una situazione assurda. Mi ero operato al menisco e avevo problemi. Mi imbottivo di antidolorifici. Tutti parlavano di me, intanto io soffrivo e perdevo gli allenamenti. Un calvario. Ho recuperato solo a febbraio».
Lei è stato il primo italiano a giocare nell’Ajax. Di quell’esperienza cosa le resta? «Non è andata come speravo, l’allenatore mi ha capito poco. A consolarmi c’erano Van Der Sar e Huntelaar, i dirigenti che hanno giocato in A e mi avevano voluto lì. Però essere lontano dall’Italia mi ha fatto crescere».
Mino Raiola diceva che il problema in Olanda sono le zanzare. Lui stesso montava zanzariere alle finestre dei suoi giocatori. «D’estate le zanzare, d’inverno il freddo, lì piove sempre, peggio che a Udine».
Con il suo allenatore Kosta Runjaić come vi capite? «Lui parla inglese, io quasi. Ha portato entusiasmo e un gioco diverso. Vogliamo fare quaranta punti, ma intanto pensiamo a salvarci».
Cannavaro l’ha allenata nella scorsa stagione: lo sente ancora? «Siamo legati. È un grande uomo ed è un campione. Mi ha insegnato i trucchetti dei difensori vecchia scuola per spostarti il baricentro, farti perdere la posizione e starti davanti».
I suoi idoli? «Adoro Ibra, che mi ha regalato la sua maglia, e Djokovic, per la forza mentale».
Cosa sogna di fare dopo il ritiro? «Giocare a padel e dedicarmi alla famiglia. Ho una ragazza, studia, siamo cresciuti insieme. Voglio dei figli, li porterò allo stadio».
Lei è tifoso? «Sì, ma non dico di chi, ho combinato troppi casini. Da bambino ho chiesto un autografo a un giocatore, ma avevo in testa il berretto della squadra avversaria. Meglio pensare all’Udinese».