Luca Toni: «Palermo mi ha cambiato la vita. Brunori, riprendi per mano squadra e tifosi»

Luca Toni, simbolo indiscusso del Palermo dei primi anni 2000, ripercorre le sue emozioni legate al club rosanero, oggi simbolo di una rinascita calcistica internazionale. Dopo un rapporto a tratti turbolento con la piazza, Toni ha ritrovato l’affetto dei tifosi, diventando persino il volto della nuova maglia presentata a New York. In un’intervista rilasciata a Valerio Tripi per Repubblica Palermo oggi in edicola, Toni parla del passato, dei momenti difficili e delle prospettive per il futuro, con un messaggio speciale per Matteo Brunori.

Dopo essere stato fischiato fino allo sfinimento, è tornato nel cuore dei tifosi diventando anche il testimonial della nuova maglia a New York. Una bella soddisfazione, no?
«L’affetto della gente lo percepisco ovunque. Quello rosanero è un marchio non solo palermitano, ma mondiale. Palermo non ha niente a che fare con la B. A maggior ragione oggi, con un gruppo internazionale alle spalle: pensare che sono gli stessi del Manchester City dovrebbe essere una garanzia. Penso che l’investimento societario non stia andando di pari passo con i risultati sportivi, ma il Palermo ha fatto passi da gigante. Vedere tanta gente che è tornata a volermi bene è stata una grande soddisfazione: è bello ritrovarsi, è stato un amore forte il nostro. Giocare qui mi ha cambiato la vita: è stata la svolta della mia carriera. Sapevo che la verità sarebbe venuta fuori».

All’epoca però fu facile darle addosso.
«Era facile attaccare me e schierarsi dalla parte di Zamparini. Era normale cercare di coprire l’errore societario: pensavano di aver fatto un affare vendendomi e prendendo Caracciolo e Makinwa. Credevano che fossi arrivato, ma per me ha parlato la carriera. Ovvio che dicessero che volevo andare via».

Da attaccante ad attaccante: Brunori?
«Secondo me è un grande attaccante e la questione delle pressioni deve servirgli per caricarsi. Ricordo i miei anni a Palermo: quando ho fatto il primo gol era tutto fantastico, anche se all’inizio faticavo a segnare. All’inizio del secondo anno non ero partito bene. Vedevo che c’era un po’ di malumore, ma tutto quello mi caricava. Sapevo che quella gente, che mi aveva tanto amato, sarebbe tornata a sostenermi appena mi fossi sbloccato. Quando vai per la città e vedi i bambini con la tua maglia, anche quando non segni, sai che ti vogliono bene. Mi annoiava giocare nell’indifferenza: i fischi, che fossero degli avversari o dei miei tifosi, mi caricavano. Brunori deve pensare di riprendere per mano squadra e tifosi e ricominciare a correre. Sapere che puoi dare una gioia con un gol a 35 mila persone allo stadio e a tante altre nel mondo è qualcosa di fantastico».