Angelo Pagotto, ha voluto raccontare il dramma della squalifica ai microfoni di “Gazzetta.it”, lui che era considerato uno degli astri nascenti del calcio italiano tra i pali. Di seguito l’intervista:
Tutto cominciò col passaggio dalle giovanili del Napoli alla Samp. A vent’anni aveva già tutto ciò che un giocatore potesse desiderare.
“Mi ero montato la testa. Ero giovane, avevo tanti soldi in tasca ma non una famiglia solida che mi guidava. Pensavo solo al sogno che si era realizzato. All’epoca ero quotato, facevo tante serate, avevo tante ragazze”.
E ha conosciuto la sua prima moglie.
“Sì, a Genova mi sono innamorato di una cubista e l’ho sposata alle Bahamas. In quel periodo uscivo con Matteo Sereni e anche lui ha avuto una storia simile alla mia…”
A 23 anni un Europeo U21 vinto, con Buffon che la guardava dalla panchina…
“In quel periodo Buffon non era ancora quello che è diventato poi. Aveva qualche anno in meno, preferirono me. Ma io e lui eravamo i predestinati, i portieri più forti del momento”.
È vero che aveva ricevuto anche una chiamata dalla Juve?
“Sì, quando ero a Pistoia, in prestito dal Napoli. Stavo dormendo, mi squillò il telefono e tra sonno e veglia risposi. ‘Sono Luciano Moggi’. Io attaccai dicendo ‘Non mi prendete in giro’. Richiamò e disse di nuovo di essere lui, dovetti credergli. Mi voleva portare alla Juve”.
E perché disse di no?
“Non so se ho sbagliato o meno. Col senno di poi forse sarebbe stato meglio andarci. Io e il mio procuratore facemmo varie valutazioni: l’alternativa era la Samp, Zenga era a fine carriera e avrei avuto più spazio, alla Juve avrei dovuto sudarmi il posto. Ma dopo il no a Moggi, si chiusero tutte le porte”.
Alle avances del Milan però poi più tardi ha ceduto…
“Mi piange ancora il cuore per aver lasciato la Samp. L’ambiente mi era congeniale in tutto, mi sono sentito una merda”.
Novembre 1999, Perugia. L’amore finì: risultò positivo al test antidoping, tracce di cocaina.
“In quegli anni si poteva ancora aggirare un test antidoping e se avessi avuto la coscienza sporca lo avrei fatto, probabilmente. Ma ero tranquillo, tant’è che ero risultato negativo al test della settimana prima a Parma e anche a quello della settimana dopo a Padova. Solo a quello intermedio dopo la Fiorentina risultai positivo, strano…”.
Seguirono due anni di squalifica…
“La Procura mi assicurò che se avessi ammesso le colpe mi avrebbero dato solo sei mesi. Ma non ho mai pensato di farlo”.
Nel 2001 venne “graziato” dalla giustizia sportiva, che accoglie il suo appello di uno sconto di 4 mesi per non perdere metà stagione e riprese dalla Triestina. Come era il calcio al suo rientro?
“Ero cambiato io nel frattempo, ma tutti erano accaniti contro di me. Il presidente della Triestina iniziò ad accusarmi di combine, lo denunciai e andai via, malgrado avessi vinto il campionato di C. Lì iniziarono i veri problemi. Non riuscivo a trovare squadra, si era sparsa quella voce che mi vendevo le partite. In quel periodo ho avuto un altro angelo custode, Luciano Bartolini. Mi ha fatto anche da padre visto che un padre non l’ho avuto…”
Nel 2007 Crotone-Spezia, di nuovo test antidoping. Quella volta conosceva già il risultato?
“Sì, sapevo che prima o poi sarebbe successo. Non avevo più adrenalina in campo e la cercavo nella cocaina. Iniziai a frequentare cattive compagnie, mi facevano sentire protagonista. Avrei potuto finire meglio la carriera, avevo anche già firmato con la Salernitana”.
Venne chiesta la squalifica a vita: Quante volte ha pensato “Che stupido”?
“Me lo ripetevo di continuo. La squalifica prima era anche più dura che adesso. Non si poteva neanche rivolgere la parola a un tesserato”.
E come ha fatto a stare lontano dal suo mondo per otto anni?
“Non ci sono mai riuscito. In Eccellenza ho allenato i portieri della Sanremese, ma quando la squadra è stata promossa mi hanno fotografato col gruppo a una festa e mi sono beccato altri sei mesi di squalifica. Andavo in palestra per scaricare la tensione, avevo giornate di down totale. Mi piangeva il cuore e ho provato a rialzarmi contattando mezzo mondo. Avevamo una vecchia chat della Nazionale, Fabio Cannavaro mi ascoltava spesso”.
Quando non ha più potuto fare il portiere cos’ha fatto?
“Sono andato in Germania, ho fatto il piazzaiolo, il cuoco, di tutto”.
La riconoscevano?
“Qualche italiano, ma coi vestiti da lavoro ero irriconoscibile”.