L’edizione odierna de “La Stampa” si sofferma sull’ennesimo episodio di razzismo nel calcio.
«Una parola di troppo nei momenti concitati di una partita capita e si può anche accettare. Una parola di troppo razzista, no». Così succede che nel bel mezzo di una partita di Lega Pro, neanche tanto tesa, nel corso di una rimessa laterale, un allenatore, Franco Lerda della Pro Vercelli, urli «Africa, alzati!» a un giovane attaccante della squadra avversaria, la brianzola Renate. «Nel 2022 è inaccettabile: questa è ignoranza pura e non merita di essere commentata», dice a due giorni dai fatti Mohammed Chakir, il calciatore preso di mira. Ventuno anni, cittadino italiano, Chakir è nato a Guastalla, in provincia di Reggio Emilia, da genitori di origine marocchina: «Mio padre è qui da oltre quarant’anni, è impiegato come capo reparto in un’azienda, dove lavorano anche i miei fratelli più grandi. In paese i Chakir sono considerati da tutti una famiglia italiana. Mai abbiamo subito atti di razzismo», racconta il giovane, che ha studiato in Italia e gioca a calcio da quando aveva sei anni. All’inizio si era molto arrabbiato, ma ora è soddisfatto dal provvedimento preso dal giudice sportivo: una squalifica per undici giornate, fino al 28 aprile, e quindi fino alla fine del campionato, a Lerda.
«Quando l’ho sentito urlare quella frase in campo, non ho detto nulla, non ho risposto – racconta –. Subito ho rivolto gli occhi alla mia panchina e ai procuratori federali che erano lì, a tre metri, e avevano sentito tutto». È successo al trentacinquesimo. La Pro Vercelli aveva segnato, la Renate aveva già pareggiato. Un difensore del Renate stava per battere una rimessa laterale. «Ho chiesto alla procura federale, che sovrintende la sicurezza in campo se avesse sentito. Perché episodi di questo tipo non devono succedere». Ed effettivamente, i due inquirenti che avevano assistito alla scena, hanno stilato un rapporto dettagliato che ha portato il giudice Stefano Palazzi – lo stesso che, all’epoca da procuratore, diede il via a Calciopoli – a usare il pugno duro. «Non è la prima volta che succede, ma forse è anche grazie a questo genere di provvedimenti che gli episodi di razzismo in campo si stanno riducendo. Prima erano molto più frequenti», riflette Chakir. Che ai suoi genitori, alla sua famiglia non ha neanche raccontato ciò che è capitato: «Sono persone serene che mi avrebbero detto di ridere su un gesto così ignorante. Ancora più assurdo perché a compierlo è stato un allenatore non un tifoso qualsiasi. Proprio lui che, invece, dovrebbe dare il buon esempio».