Leggenda De Bellis, una vita rosanero: «Mi hanno tolto la voglia di andare allo stadio. Un inserviente mi ha messo alla porta»
Dei suoi primi ottant’anni, se si escludono tre al Venezia e un brevissimo periodo da tecnico a Messina, sessanta li ha vissuti a Palermo: da calciatore (undici stagioni, circa trecento partite, tre promozioni), allenatore delle giovanili, vice e di prima squadra, marito e padre. Una leggenda vivente. Uno dei più fedeli giocatori di sempre, sicuramente il più amato assieme a Ghito Vernazza. Non per niente, sono amici. Ieri, Tonino De Bellis nel giorno del suo compleanno ha spento le candeline con amici, ex compagni, giornalisti. Una mega cena al Circolo del Tennis dove ancora, insieme ad Alvaro Biagini, al diavolo l’età, insegna ai bambini, come diventare uomini e campioni. Un solo soffio con qualche lacrima, ugualmente con l’impeto del guerriero che le prendeva e le dava con un unico obiettivo, quello di onorare la maglia. Altri tempi. TARANTO E PALERMO. «Un calcio che non esiste più, figlio di un’epoca. Sono nato a Taranto. Rimasto senza padre a 12 anni, ho avuto una vita di sacrifici, la mia era una famiglia modesta e non mi vergogno. Mio padre Giuseppe lavorava come operaio all’Arse
nale. Ho cominciato a giocare in mezzo alla strada. La nostra Champions? Le sfide tra una via e l’altra. La mia fortuna fu che un giorno mi vide un prete dell’Istituto Salesiano. E da lì il Taranto. Fu mio fratello Filippo a firmare. Avevo diciassette anni, un dirigente si presentò a casa mentre non c’ero, e lui decise per me. Due campionati di B e arrivò il Palermo. Era il 1957. Fu il mitico Vilardo a scoprirmi. Primo ingaggio, 35 mila lire, lo stipendio di un operaio, oggi meno di cinquecento euro e a casa De Bellis una bocca in meno da sfamare. Mi recai in treno e a Reggio Calabria firmai prima di prendere il traghetto». LE PROMOZIONI. «Dal ’57 al ’61, due promozioni. La prima con Vycpalek, grazie anche ai 19 gol di Vernazza; la seconda con Baldi. La terza l’avrei conquistata nel ’67 con Di Bella. Vycpalek mi trattava come un figlio. Ghito aveva un cuore incredibile, ci sentiamo ancora. Una parte dello stipendio lo spendeva per noi ragazzi. Altri amici? Veneranda fuggì da Marsala e lo ospitai. Lo presi come vice, poi finì per sostituirmi! Viciani era uno di famiglia, amico e tecnico dal quale imparai tante cose. E poi Marchetto, Biagini, Sandri, Raffin… Arcoleo mi chiama fratello. Lo consigliai al Taranto. La sua carriera cominciò così. Quando mi dissero di Venezia, piansi. Mi ero appena fidanzato, Vilardo non voleva complicazioni affettive. E poi aveva bisogno di soldi e dovevo fare il militare. Battemmo Milan e Juventus. L’anno dopo retrocedemmo. Città incantevole, ma Giusy mi mancava. Tornato a Palermo mi sposai». «Ero leale e deciso. Prima della partita non riuscivo a mangiare. Alla Favorita, tempestai un avversario come Baldini che era stato anche in nazionale. Giurò che si sarebbe vendicato e a Como mi ruppe la gamba con un intervento assassino. Ne porto i segni, Poi si scusò. Mi piaceva Gigi Riva, un gladiatore, facevamo scintille. Contro di me non ha mai segnato. Invece, Stacchini, ala della Juve, mi mandava in tilt perché dribblava e non lo prendevo mai. Cinquantadue anni di matrimonio, tre figli. Dalla vita ho avuto molto. Allenatore? Troppo stress. E belle soddisfazioni. Un anno portai il Palermo dalle ultime posizioni alla zona promozione. L’anno dopo, i giocatori mi fecero la guerra, non avevano voglia di disciplina. Spedirono una lettera che il presidentissimo Barbera mi fece leggere piangendo. Diedi le dimissioni. Come Barbera non ce ne saranno più anche se riconosco che debbo molto a Vizzini. Mi diede una compagnia di assicurazioni e il… futuro». AMAREZZE E RIMPIANTI. «Mi hanno tolto la voglia di andare allo stadio. Un inserviente mi ha messo alla porta. Del resto, Zamparini non ha un’anima palermitana e non riesco a capire se vuole bene a questi colori e alla città. Vende tutti i migliori, a tutto c’è un limite. Salvezza? È durissima, ma si può. Peccato per la papera di Posavec. Inspiegabile in A. Rimpianto? Dovevo andare all’Inter, passai anche le visite mediche, le società non si misero d’accordo per i soldi».”. Questo quanto riportato da “Il Corriere dello Sport”.