Le dolomiti del gol, modello Südtirol. Strutture top e tanti soci, così nasce la B. A Bolzano ci sono entusiasmo e voglia di investire

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sul Südtirol.

«Un presidente porta le emozioni, ma con le emozioni non puoi decidere. Il Südtirol è un’azienda a tutti gli effetti. Abbiamo capito che nel calcio nel momento in cui fai i debiti è l’inizio della fine. Non siamo tifosi, gestiamo l’azienda, però il gruppo è la nostra forza perché il gruppo vede una società in ordine che paga gli stipendi puntualmente, ha 170 partner, uno stadio che ad aprile sarà un gioiello, un centro sportivo che ora le mostro». Dietmar Pfeifer, a.d., e Paolo Bravo, d.s., ci aprono le porte del Fcs Center a Maso Ronco (Appiano), sede del Südtirol, primo nel girone A della Serie C. Imbattuto, 17 vittorie, 5 pareggi, solo 5 gol subiti. E’ un gioiello che diversi club di Serie A invidierebbero: quattro campi (la Germania ha fatto alcuni ritiri) e uno da costruire, bar, spogliatoi, piscina calda, vasca a freddo, palestra. Un centro di fisioterapia aperto anche agli sportivi dell’Alto Adige iscritti alle federazioni. All’ingresso degli uffici modernissimi mele e birra, rigorosamente Forst, uno dei colossi che aiuta il club perchè il presidente del Südtirol, Gerhard Comper, è direttore amministrativo dell’azienda. «Abbiamo 170 partner – spiega ancora Pfeifer – con una piattaforma business che li collega tra loro per fare rete». Se questa squadra domina il torneo non è un caso: «Nel 2011 abbiamo pensato il centro sportivo, nel 2018 lo abbiamo inaugurato. In questo periodo certi club hanno cambiato proprietà quattro volte».

Parte sportiva Il primato è frutto di anni di crescita. Qui ha cominciato a mostrare le sue doti Paolo Zanetti che allena il Venezia. Ma qui dal 2018 la parte tecnica è affidata a Paolo Bravo, ex difensore bresciano che ha base a Rimini. «Il vero artefice è il direttore», spiega il tecnico spalatino Ivan Javorcic, patito di scacchi e di Dostojevski. Bravo lavora in silenzio, ma la partita la vive in modo caldo, più intenso rispetto a Pfeifer. Nessuno qui sfiora i 100mila euro di ingaggio. Stelle non ce ne sono. Ma quattro, Fischnaller, Fink, Davì (figlio della cestista scomparsa Paola Mazzali, alla quale è intitolato il palazzetto) e il capitano Fabian Tait sono altoatesini. «Aver mantenuto l’ossatura dello scorso anno ci è servito, siamo bravi ragazzi, abbiamo fame e il direttore ha preso persone vere», dice Tait. In spogliatoio Javorcic ha scritto: «Regola numero uno: migliorarsi. Numero 2: preparare al meglio la prossima partita». Bravo sorride, seduto da Franco, milanista, da Walthers, il suo quartier generale e pure di molti giocatori in una città che di movida ne offre poca, ma ha una qualità di vita altissima. «Voglio gente alta, strutturata e, se non è così, che corra tanto. Prendiamo calciatori che speriamo diventino i migliori». Javorcic è amico di Juric e Tudor, ma gioca in modo diverso, col 4-3-3: «Da Juric ho preso l’intensità e l’affrontare gli uno contro uno, ma ho studiato molto Giampaolo. In difesa lavoriamo di reparto». Solo 5 squadre gli hanno fatto gol. L’esperto Vinetot guida la difesa, Poluzzi chiude la porta. Casiraghi, Voltan e Galuppini sono gli uomini di qualità, Gatto il cervello, De Marchi e H’Maidat gli innesti di gennaio. Davì, Rover e Curto i giovani più seguiti.