L’edizione online de “La Repubblica” analizza il caso di una dottoressa di Cuneo in servizio nonostante la positività al Covid. La Regione aspetta di saperne di più prima di pronunciarsi e, eventualmente, intervenire. L’Asl Cuneo 1 ha annunciato un’indagine. Il direttore generale Salvatore Brugaletta dice di non aver nulla da dire e rimanda ogni dichiarazione all’Unità di crisi. Ma quello di Renata Gili, dottoressa di guardia medica dell’Asl Cuneo 1 è un racconto dettagliato e preciso. E il suo non sarà certo l’unico caso. Renata Gili ci ha messo la faccia: collegata da casa ha raccontato, dati e fatti precisi. Dopo un mese è ancora positiva al Covi- 19. Il 9 marzo, nei giorni del caos della prima fase dell’emergenza in Piemonte, lei ha la febbre. Immagina che potrebbe essere coronavirus, ha mal di gola, perdita del gusto e dell’olfatto. Lo comunica. Nessun tampone, all’epoca le regole erano chiare: autorizzazione soltanto nel caso di contatti con una persona positiva. Il 12 la febbre passa. Per l’azienda dovrebbe tornare a lavorare. Lei, convinta di essere contagiata, organizza cambi di turno con i colleghi e decide di autoisolarsi. Sa bene qual è il rischio per gli altri. Riesce a evitare il lavoro fino al 20 marzo, giorno in cui riesce a fare il test. Il risultato arriva il 24 marzo ed è positivo. Peccato che il 23 marzo le dicano di tornare al lavoro. Ci va: “Per dodici ore racconta – ho lavorato in una stanza chiusa a contatto con i colleghi”. L’indagine promessa non dovrebbe richiedere tempi lunghi. Renata Gili non ha intenzione di parlare della sua Asl, citare nomi, ma è convinta che il suo non sia un caso isolato: “Non voglio parlare di una realtà specifica, il mio è un esempio che si ripete in molte realtà. Spero di aver parlato in modo costruttivo per evidenziare un problema che si è verificato e sul quale sarebbe importante correggere il tiro”.