L’acchianata del Palermo. Baldini: «Stiamo benissimo»
L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sul pellegrinaggio di ieri del Palermo al Santuario di Santa Rosalia.
Mai mischiare sacro e profano, ma cercare un sostegno dall’alto in vista dei play-off ha un valore ben più che simbolico, per chi ci crede. Baldini è tra questi e non è un caso se ieri, il Palermo, abbia deciso di affrontare una «acchianata» al Santuario di Santa Rosalia. Prima di iniziare le sfide da dentro o fuori, con l’obiettivo della promozione in Serie B, i rosanero si sono ritrovato ai piedi del Monte Pellegrino per un pomeriggio diverso dal solito, nel quale cementare ulteriormente il gruppo. La salita è iniziata dalla scala vecchia, dal primo belvedere, per poi raggiungere il luogo sacro.
Lì la squadra è stata accolta da un gruppo di ultras della Curva Nord 12. «Giocare a calcio non è solo giocare una partita, nella quale vincere segnando un gol in più – ha ammesso il tecnico prima di salire in cima al promontorio – giocare a calcio è anche partecipare alla cultura, a quelle che sono le tradizioni di una città. Se uno sente su se stesso questa responsabilità, sa che quando vai in campo c’è tanta gente che può soffrire se le cose non vanno bene, o a cui puoi dare una grande gioia se vinci».
Non è la vittoria, però, quel che Baldini chiede alla «Santuzza» in questa visita: «No, la religione è di tutti e non sarebbe giusto. I santi non si possono usare per favori personali, semmai per problemi di salute, se si ha un figlio o un giocatore malato. Per una partita, si può chiedere solo di farci vivere e farci avere quel che meritiamo». Però, qualcosa di mistico, nel ritorno di Baldini a Palermo c’è. C’è sempre stato e lui stesso non lo ha mai negato, sin dal giorno del suo ritorno nel capoluogo siciliano, caduto proprio alla vigilia di Natale.
Un giorno che aspettava da anni, da quando venne esonerato da Zamparini nel 2004, alla guida di una squadra che poi avrebbe riscritto la storia del calcio palermitano, tra la promozione in Serie A e l’approdo in Europa. Altri tempi e altri obiettivi, ma l’allenatore toscano ha sempre coltivato nel proprio cuore la speranza di ritrovare un posto lì, sulla panchina del «Barbera», per riscattare quella delusione: «Sono tornato a Palermo perché ogni volta che venivo qui sentivo una voce che mi diceva che non è finita. Ho dimostrato di aver fede e dopo diciotto anni sono tornato».