La Stampa: “Mario, infettato al Nord e guarito al Sud. «Ero nel mondo dei morti, lì sono rinato»”

Mario Minola, uomo di 66 anni di Bergamo, è riuscito a guarire dal Coronavirus. L’uomo era stato contagiato al Nord, ,ma poi è riuscito a sconfiggere il virus al Sud in Molise. Di seguito il suo racconto ai microfoni di “La Stampa”: «Saranno ormai quasi due mesi», dice al telefono con un filo di voce. È provato, ma felice di essere tornato a casa. L’ultimo mese l’ha trascorso in Molise, in un reparto dell’ospedale Cardarelli di Campobasso, capoluogo in cui non era mai stato prima. «Sono felice di esser stato trasferito qui. Ero nel mondo dei morti e invece sono rinato. Mi dicono tutti che sia una bella città, ma io non l’ho mica vista. Ci tornerò». Nella sua Bergamo, dove è molto noto per la sua attività professionale che ormai ha sospeso da tre mesi, il signor Minola ha preso il virus – «un pomeriggio mi son sentito male e la mia famiglia mi ha portato al pronto soccorso dell’ospedale e da lì è cambiato tutto» – ma è in quel Sud che lui ama «perché qua danno il senso alle cose, mentre noi del Nord siamo solo stressati», che gli hanno ridato la vita. «Non posso fare paragoni con la sanità della Lombardia perché non ne ho esperienza diretta per quanto riguarda la cura di questa malattia, ma se mi hanno mandato a Campobasso e lì mi hanno salvato perché stavo morendo, vuol dire che son bravissimi», commenta. E aggiunge riconoscente: «Ero nudo e crudo e loro mi hanno vestito».
Fa fatica a parlare, Minola, del suo studio di architettura non vuol dire molto, solo che lo chiuderà e lo lascerà al figlio. «Ora tutte le energie le devo impiegare nella riabilitazione che faccio ogni giorno con mia figlia fisioterapista. Purtroppo questo virus mi ha tolto molto. Le gambe sono andate, i muscoli si sono rattrappiti, devo imparare di nuovo a fare le cose che ho sempre fatto. Come la mia nipotina di un anno, che da poco ha appreso a gattonare. Ecco, io devo reimparare tutto daccapo», racconta. Di questi due mesi tra la vita e la morte Minola non ricorda nulla. «Io sono stato in coma dieci giorni. I dottori dicevano ai miei figli, con cui avevano rapporti telefonici quotidiani, che mi “doveva partire lo stimolo”», ricostruisce. E lo stimolo l’ha avuto una notte: «Ho sognato che mia moglie mi urlava nelle orecchie che dovevo guarire. E la mattina dopo mi sono svegliato, stavo meglio». Minola ha combattuto la sua battaglia contro il Covid19 a 800 chilometri da casa sua: a portarlo in Molise un elicottero della Protezione civile nazionale che, attraverso il sistema Cross – la centrale remota per le operazioni di soccorso sanitario di Pistoia – ha smistato in queste settimane i pazienti affetti dal virus da una regione all’altra, per alleggerire il carico degli ospedali più sotto pressione. Come quelli bergamaschi, per l’appunto, che non avevano più posti in terapia intensiva. E il ritorno a casa, per Minola e l’altro bergamasco ospitato al Cardarelli, Manco Villavicencio, di origini peruviane, è avvenuto giovedì sera. «Siamo partiti da Campobasso con un’ambulanza dell’ospedale che ci ha portato a Napoli. Lì siamo stati caricati su un aereo della Protezione civile con cui siamo atterrati all’aeroporto di Linate e al nostro arrivo c’era un’altra ambulanza, che mi ha portato proprio davanti alla porta di casa mia. Che poi sono fortunato perché abito in una posizione fantastica: dietro al vecchio ospedale di Bergamo, ho qui davanti le colline della Città Alta. È bellissimo essere di nuovo a casa».