L’edizione odierna de “La Stampa” si sofferma sullo scandalo che ha coinvolto Lucarelli junior.
«È stato bellissimo, dovremmo rifarlo». Nei ricordi sbiaditi dall’alcol della studentessa ventiduenne americana ci sono anche queste parole. Mattia Lucarelli, il calciatore 23enne del Livorno, ora ai domiciliari per violenza sessuale di gruppo con il compagno di squadra Federico Apolloni, le ha usate per salutare la ragazza la mattina del 27 marzo scorso. Oggi suonano come un insulto, l’ultimo, quando dopo gli abusi e le umiliazioni della notte, si è deciso a riaccompagnarla a casa.
La vittima lo chiedeva da ore, da quando si era infilata in quella stessa auto, completamente ubriaca, dopo una serata con un’amica al Gattopardo di Milano. Quando è stata agganciata dai ragazzi all’uscita, già non si reggeva in piedi. Racconterà il responsabile della sicurezza della discoteca: «Alle 4.20 l’ho notata sdraiata sulla carreggiata che rideva circondata da alcune persone che l’hanno aiutata a rialzarsi». Cercava un taxi, un passaggio e ha trovato Lucarelli e i suoi quattro amici. Di quella notte, quando il 4 aprile formalizzerà la denuncia negli uffici della Squadra mobile di Milano, la vittima ricorderà solo flash «forse a causa di qualcosa che mi hanno fatto bere, ma ovviamente non ricordo».
Tutte le volgarità e le risate che i ragazzi si sono scambiati in auto prima di arrivare nella casa di Lucarelli, dove si sono consumate le violenze, «incitandosi a vicenda» e «trattandola come un oggetto» scriverà il gip Sara Cipolla nell’ordine di cattura, sono nei video sequestrati dagli investigatori: «Se puta caso entri in casa è la fine… Io spero succeda qualcosa prima che tu entri in casa» e altre parole irripetibili e oscene che descrivono puntualmente la violenza di gruppo che gli indagati stavano per compiere. E che la vittima neanche capiva, perché non conosce l’italiano.
Poi, con la telecamera del cellulare accesa, sono arrivati gli abusi: «Non volevo assolutamente avere rapporti sessuali quella sera con nessuno di loro, tantomeno avere un rapporto sessuale di gruppo. Gli ho detto che ho un ragazzo, ho detto di no, che questo non poteva succedere», come la vittima ripeterà in sede di incidente probatorio. «Muovevo la testa, continuavo a dire di no che avevo un ragazzo. E loro mi hanno detto: “Se ti ama comunque dov’è lui? ” ». Ci sono voluti giorni perché la ventiduenne si decidesse a chiedere aiuto, a denunciare. Un amico che le è stato accanto racconta di come piangeva ed era molto dispiaciuta perché aveva perso il controllo del proprio corpo: «Lei non voleva essere in quel luogo ma lo era perché quelle persone glielo avevano imposto». E ancora, mette a verbale un’amica della ragazza: «Ha continuato a piangere per molto tempo. Per lo choc era in stato confusionale. Mi ripeteva che era come se il suo corpo non le appartenesse più, qualcun altro se ne era impossessato senza il suo consenso».