La Stampa: “Alla stazione centrale di Milano la gente in fila per il Frecciarossa che porta al Sud «Vogliamo tornare in famiglia. Ho perso il lavoro, sono senza casa», pianti e bugie per salire sul treno”

L’emergenza Coronavirus continua in Italia, ciò nonostante la gente continua a spostarsi da un comune all’altro e da regione a regione. L’edizione odierna di “La Stampa” fa il punto della situazione raccontando l’esperienza della gente in fila alla stazione centrale di Milano per il Frecciarossa che porta al Sud Italia. Francesco è al telefono da venti minuti. Cammina avanti e indietro di fronte ai tornelli, nell’area partenze della stazione centrale. Più parla, più gli occhi si fanno lucidi. «Non so che fare. No, papà, non vogliono parlare con te. Dicono che non posso partire e basta». Trentuno anni e una supplenza da collaboratore scolastico finita. «È vero, a Varese mi ospita un amico. Ma spendo troppo per mangiare». Si guarda intorno: «Non me lo posso permettere, voglio tornare a casa». Il suo biglietto da 120 euro per l’unico Frecciarossa che nella mattina del Venerdì Santo parte verso il Sud Italia è carta straccia. La speranza di trascorrere Pasqua in famiglia a Venosa, il suo paese in provincia di Potenza, si è infranta sul muro dei controlli della polizia ferroviaria. Per gli agenti non ha motivo di viaggiare «in deroga» al blocco imposto dal governo per l’emergenza coronavirus. Spiega il commissario Gianmarco Di Natale: «Usiamo il buon senso, ma applichiamo le regole». Ai tornelli della stazione centrale il filtro è stretto, la processione dei fuorisede quotidiana. L’ora delle partenze Nel giorno che apre il fine settimana di Pasqua l’afflusso è minore del previsto. Delle 70 persone che hanno acquistato il biglietto per il treno delle 9.52 diretto a Napoli alla fine partono in 39: «Molti ci hanno già provato nei giorni scorsi, altri hanno preferito sfidare i controlli in auto, ma il picco di partenze per il Sud dei primi giorni di serrata non si è più visto. Oramai lo sanno: senza una reale necessità non si parte». Scuote la testa il commissario della Polfer, Angelo Laurino. «La fantasia nella ricerca delle scuse non manca». In tanti, addirittura, hanno inviato mail a questura e prefettura per chiedere di essere «autorizzati» a tornare a casa. Centinaia di richieste che non hanno alcun valore, ma chi vuole partire le prova tutte. Fuori dai tornelli c’è Mirko, barese di 38 anni. Dovrà pagare 400 euro di multa perché ha falsificato il certificato per una visita dall’otorino. Gli agenti hanno contattato lo studio del medico a Bari: «Non so chi sia Mirko, non ha visite prenotate». Non si parte. Dovrà rinunciare anche a vedere la fidanzata: «Sono qui da solo come un cane», ammette mentre trascina con rabbia la valigia verde. In fondo alla coda c’è Alessandro, napoletano di 35 anni, cameriere a chiamata in una pizzeria sul Naviglio: «Sono stato in carcere, ma ora sono a posto. Ho lavorato finché ho potuto, adesso ho gli ultimi 40 euro in tasca. Che faccio? Devo tornare a rubare?». Davanti a lui c’è Maria, che non avrà problemi a partire. Ma piange di tristezza. «Sono stata qui due mesi per colpa di un tumore che mi sta uccidendo. Ho finito le cure all’Istituto europeo di oncologia e ora voglio solo tornare a Roma». Ha 73 anni e il volto coperto dalla mascherina. Anche Luisa riuscirà a partire. Per compilare l’autocertificazione si sfila i guanti gialli da cucina. «Ho portato copia dei contratti di lavoro e di affitto scaduti. Aspettavo l’indeterminato ma con questi chiari di luna l’azienda mi ha lasciata a casa».
Le storie Laura, 24 anni, invece, è costretta a tornare indietro con due valigie alte quasi quanto lei. Nel sacchetto giallo del supermercato c’è un elefante di peluche: «Viaggia sempre con me, da quando ero bambina». Anche Mario parte. È uno studente fuori sede ma il suo contratto d’affitto è scaduto. Dallo zaino spunta una chitarra, piccola traccia di normalità mentre il mondo è travolto dal virus. Cristina, 26 anni e un cappottino grigio troppo caldo per la primavera esplosa a Milano, deve ripetere tre volte la misurazione della temperatura. Se ne occupa la Croce rossa: è il secondo step dei controlli. «Se compare qualche linea di febbre la misurazione si ripete, per evitare falsi positivi». Il terzo filtro è al binario 5 davanti alle carrozze . L’unico in una stazione deserta, dove il silenzio sospeso si è impossessato dell’inarrestabile caos della Centrale. Di treni, speranze e viaggiatori.