L’edizione odierna de “La Nuova Venezia” si sofferma sul clima che ha accompagnato il Venezia in questa settimana di preparazione alla sfida di Palermo contro i rosanero.
Ormai il copione è noto. Si moltiplicano gli screenshot e le testimonianze: muovere una critica civile sulle piattaforme social del Venezia, spesso significa venire insultati di rimando. Il profilo ufficiale di un club professionistico – “Dici stronz…e”, scrive, tra le più recenti segnalazioni – contro i tifosi che rappresenta. Livello bettola al quinto spritz. Se questa è l’avveniristica visione identitaria della proprietà, beh, lunga vita al vecchio. «Un approccio del genere non porta da nessuna parte», dice Emanuele Garau. È uno storico appassionato arancioneroverde, ma soprattutto social media manager di professione che collabora con società di Serie B, C e calcio femminile. Quindi fa specie sentirgli dire che «il Venezia fa di tutto per dare un’immagine positiva di sé: eleganza, fashion, foto. Ma oltre la vetrina, la scatola è vuota. Non corrisponde alla realtà. E ciò che non piace al club viene nascosto».
Letteralmente. Da giugno il Venezia ha rivisto le proprie community guidelines, riservandosi il diritto di cancellare i commenti offensivi. E ci mancherebbe. «Il problema», continua Garau, «è che però si fa un uso del tutto arbitrario della censura». Per esempio? «In uno degli ultimi post ho fatto presente, in modo pacato, che la società ha l’opportunità di monitorare l’operato dei propri manager e considerare le segnalazioni dei tifosi. Poco più giù un hater del Palermo fa discriminazione territoriale contro la città di Venezia. Il mio commento è stato eliminato, l’altro no». Questione di ego. «Prendo le distanze da questo atteggiamento. Anche perché mica tutti sono leoni da tastiera: talvolta i tifosi offrono feedback pertinenti. Se sono attaccabili, vengono ‘blastati’ dal profilo del Venezia», che li deride su Twitter. «E invece ignora o cancella quelli più strutturati, per poi riversare la propria irritazione nelle chat private». Roba da bambini delle medie. «Tutto questo attraverso uno strumento ufficiale da decine di migliaia di follower: fuori da ogni logica. Ma se i responsabili», il brand director Ted Philipakos e la director of media Sonya Kondratenko, «continuano a comportarsi così, evidentemente godono della fiducia della dirigenza».
Forse è questo l’aspetto più avvilente. Perché Duncan Niederauer, col veleno nell’aria dal Taliercio a Sant’Elena, a questo punto non può non sapere. Certi errori sono inammissibili, «quando i risultati sportivi non ci sono. E il sentore della piazza va al di là della classifica». Fare merchandising mentre la squadra retrocedeva dalla Serie A è grottesco. Crogiolarsi nel lifestyle durante il cambio di allenatore rasenta il ridicolo. Garau spiega che «le strategie aziendali vanno contestualizzate. Va bene aprirsi all’estero e a nuovi mercati. Ma ci vuole equilibrio: ignorando il locale si fa poca strada. E il Venezia fatica a mettersi nei panni del tifoso che va ogni settimana allo stadio. Qui mica siamo in Major League Soccer: fare calcio è sempre stato delicato. Non si può “imporre” un sistema a un contesto che non lo accoglie”. Vie di fuga? «insistere sull’interazione sana». E sul rispetto reciproco. «I tifosi che insultano sbagliano, naturalmente. Chi si pone in maniera corretta però merita attenzione e non ostilità da parte del club». La gente prima o poi capirà, è la litania del Venezia. «Ma perché sono sempre gli altri a dover capire, anziché intraprendere un percorso comune?». Si attende un tweet illuminante dai profili arancioneroverdi. Finora non ce ne sono stati.