Juventus, plusvalenze fuori controllo: “Questa è peggio di Calciopoli”. Cherubini: “Con Fabio (Paratici) non si poteva ragionare”
L’edizione odierna de “La Repubblica” si sofferma sull’inchiesta che coinvolge la Juventus.
L’ispezione della Consob aveva destato scompiglio alla Juventus. Tutti ne parlavano, ma nessuno pensava di essere davvero nei guai. «Tanto la Consob li supercazzoliamo», dicevano tra di loro i dirigenti, come fossero in “Amici miei”. Invece poco prima la procura di Torino aveva iniziato ad ascoltare le loro conversazioni con il sospetto che i bilanci della società di calcio fossero truccati. I telefoni erano bollenti per le plusvalenze create nello scambio di giocatori con diversi club, come quello di Tongya e Akè con il Marsiglia o quello di Pjanic e Arthur con il Barcellona. Un sistema — secondo i pm Marco Gianoglio, Mario Bendoni e Ciro Santoriello — che la Juventus avrebbe sfruttato per fare incassi e avere un immediato beneficio su conti così in rosso da non sapere nemmeno dove inserire un extradebito di 72 milioni di euro che arrivava da contratti segreti con calciatori, club e agenti, tanto che gli atti dell’inchiesta di Torino potrebbero finire ad altre procure.
«Io una situazione così brutta non me la ricordo. Faccio solo un nome: calciopoli. Anzi peggio perché calciopoli avevamo tutti quelli che ci davano addosso. Qui ce la siamo creata noi», si lascia andare il 23 luglio 2021 il dirigente bianconero Stefano Bertola durante una cena di quattro ore, in un elegante ristorante nel centro di Torino, in via Bellini. Il 13 luglio era iniziata la verifica della Consob e proprio il giorno dopo la guardia di finanza aveva cominciato ad ascoltare i dialoghi bollenti. L’interpretazione che Bertola, difeso dall’avvocato Luigi Chiappero, potrebbe fornire, è che quello sfogo sia attribuibile alla difficoltà nel gestire una situazione identica a quella vissuta subito dopo lo scandalo del 2006. Per la procura la mente è il direttore sportivo Fabio Paratici. Al telefono il suo braccio destro, Federico Cherubini, si confida: «Con Fabio non si poteva ragionare — si sente in un’intercettazione — Finché c’è stato Marotta gli metteva un freno. Quando è andato via ha avuto carta libera».
E ancora Cherubini a Bertola: «Fabio si poteva svegliare la mattina e firmare 20 milioni senza che nessuno gli dicesse niente. Io gliel’ho detto più volte: qui stiamo esagerando. Cioè è una modalità lecita ma hai spinto troppo. E lui rispondeva: a noi non importa. O fai 4 o fai 10, nessuno ti può dire nulla». Il cartellino gonfiato dei calciatori, che serviva a migliorare i conti approfittando di uno scambio senza flusso di denaro, è una delle contestazioni mossa dagli investigatori. «Noi non possiamo dire alla Consob che il nostro bilancio è un atto di fede», si dicevano al telefono i manager. E quando si tratta di rispondere all’organo di vigilanza, il dirigente finanziario Stefano Cerrato il 26 ottobre 2021 torna a usare quell’espressione da Conte Mascetti: «Posso io supercazzolarli in un modo un po’ più raffinato?». Sta chiedendo un consiglio al revisore dei conti Roberto Grossi di Ernst & Young su cosa rispondere alla Consob a proposito dello scambio Pjanic-Arthur: «Sarebbe opportuno dargli un riferimento più o meno di principio contabile o qualcosa del genere», gli spiegava Cerrato. E il revisore, che avrebbe dovuto essere un controllore indipendente, gli dava dei suggerimenti: «Non usare il termine “aleatorietà” che è troppo forte, meglio usare “soggettività”». E poi: «Non dite che non usate Transfermarkt, dite che qualche volta lo usate». Una linea comune, secondo la procura, quella tra revisori e società. Del resto i manager finanziari avevano persino inviato la loro memoria ai revisori: «Te la mandiamo così mi dici se è in linea con quello che avete scritto voi e per condividerla»