Jorginho, pallone di piombo
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla gara di ieri pareggiato dall’Italia contro la Svizzera in cui Jorginho ha sbagliato un calcio di rigore.
Ma perché ancora lui, perché? Perché Jorginho, perché sfidare il destino e troppi cattivi pensieri, vecchi pesi nella testa? Ce lo siamo chiesti tutti, ma dopo: i rigori li tira chi se la sente ed evidentemente Jorginho non aveva lo stomaco attorcigliato. Lo sapeva solo lui, in quel momento, e lui ha preso la palla in mano, senza dover chiedere permesso a nessuno. Il nostro regista ha guardato quello che abbiamo cercato di intuire tutti: sembrava avere occhi di ghiaccio, non impauriti e poi lucidi nel tunnel che porta agli spogliatoi, anche se chissà cosa gli passava nella testa in quel momento, guardando Sommer come quella sera a Basilea, quando sbagliò l’altro rigore che oggi ci tiene sospesi sull’orlo di un dirupo. E in fondo c’è lo spettro di un altro spareggio che ci separa da un Mondiale. Due rigori sbagliati contro la Svizzera, due pari che dovevano essere vittorie, le stesse mani a coprirsi la faccia. E poi i compagni a consolarlo, tutti, e lui a scuotere la testa.
Non è stato un saltello a fregarlo e a fregarci, questa volta: da quell’errore di inizio settembre, Jorginho ha cambiato modo di calciare dal dischetto. Ormai lo conoscevano, doveva trovare nuove strade. E le aveva cercate, anche trovate, sembrava: tre rigori su tre con il Chelsea, per questo non ha avuto dubbi, prima di alzare quella palla che non sembrava neanche calciata da lui, tanto era diversa da tutte le altre. Alla fine, attorno a Jorginho, hanno scavato una trincea gli azzurri, da capitan Bonucci («È il nostro rigorista e continuerà a esserlo. Quattro mesi fa ci ha portati in finale col rigore decisivo contro la Spagna») a Di Lorenzo («È un grande campione, anche noi gli daremo una mano per passare questo momento»). E pazienza per quella frecciatina notturna spedita dal suo ex presidente De Laurentiis: «Mi dispiace che facciano sempre battere i rigori a chi rigorista non è».