Joao Pedro: «Io in Nazionale? Un tuffo al cuore. Moglie, figli, carriera: devo tutto a Palermo e all’Italia»

L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” ha realizzato una lunga intervista a Joao Padreo, attaccante in forza al Cagliari, il quale si è espresso su vari temi, su tutti la possibilità di vestire la maglia azzurra e i ricordi della sua esperienza a Palermo.

Ecco qualche estratto:

Lui in Italia ci è arrivato nel 2010, diciottenne, a Palermo, grazie all’intuito di Walter Sabatini. E quando ha sentito profumo di Nazionale (ha la cittadinanza italiana per matrimonio), ha riavvolto il nastro, pensando a questa lunga storia d’amore, nata in Sicilia e proseguita in Sardegna.

Joao cosa ricorda del suo arrivo a Palermo?

«Viaggiai con l’agente di allora da Belo Horizonte a Lisbona, scalo a Roma e quindi Palermo. Era estate. Ricordo il mare e la pasta al ragù. La mangiai per due mesi di fila. Tanto che ora non la mangio più. Avevo 18 anni, ma da quando ne avevo 13 ero fuori di casa. Mi prese l’Atletico Mineiro, un bel settore giovanile, studiavo lì. Il “Diploma fondamentale” l’ho preso. Ero bravo in matematica. Ma avevo in testa solo il calcio: o il calcio o niente. Ho sofferto, infanzia povera. Diciamo che di sacrifici ne ho fatti giusto un po’. La famiglia lasciata presto. Pensi che un fratello è nato che io ero già via di casa. È stata dura».

A Palermo esordisce in A, a Cagliari (destino) e in Europa League, ma poi la mandano in giro per il mondo.

«Sì, esordio con Delio Rossi, un ritiro estivo con Pioli che mi faceva lavorate tanto, ma mi piaceva. Quindi giro, Portogallo, Uruguay, di nuovo in Brasile, al Santos».

Nel 2014 sbarca a Cagliari e ora ne è il capitano e l’uomo che, ancora una volta deve aiutare a salvarlo. Otto campionati, cosa ama di Cagliari?

«La gente, l’aria pulita, il maialetto che se la gioca con la mia amata Picanha, casa mia».

Che era quella in cui abitava Davide Astori.

«L’ho saputo dopo. Ma lui l’ho conosciuto. In squadra pensiamo ancora a lui, e ci manca».

A Cagliari lei si è affermato. Come?

«Lavorando. Sono cresciuto fisicamente. Ho messo in casa una mini palestra, sono collegato 24 ore su 24 con Luis, il mio preparatore. Aver fatto tanti ruoli mi aiuta».

Può chiamarla la Nazionale italiana. Che pensa?

«È stato un colpo. Non me l’aspettavo. È come fosse nato qualcosa dentro. Tutti voi sapete quanto è forte il mio legame con l’Italia. Quel poco che sono diventato lo devo a questo Paese. Ho trovato Ale e sono nati i miei figli. L’Italia vale il Brasile. Sono già contento che si sia pensato a me. Anche se non dovesse succedere nulla».