L’edizione odierna de “La Repubblica” riporta una lunga intervista realizzata da Filippo Brunamoneti a Jason Momoa, il famoso attore americano che nei giorni scorsi è diventato virale sui social in Italia, ma soprattutto a Palermo per aver indossato la maglia rosanero.
«Esorto tutti a trovare l’artigiano che è in voi». Ci separano una decina di tatuaggi e un paio di stivali a botte da queste parole. 44 anni, una scia di scazzottate divise tra Atlantide (Aquaman) e i nomadi Dothraki del Trono di Spade. Jason Momoa poteva finire appeso a qualche calendario nei depositi delle bobine dei film Warner, prima che Los Angeles diventasse la Babele dei Macho Burrito (potete recuperare l’Ercole hawaiano, a inizio carriera, mentre mormora “It’s good to be macho!” nello spot Del Taco). Tra una licenza da bagnino e i dreadlocks esibiti in Stargate: Atlantis, Momoa si è conquistato piano piano il titolo di Ultimo Grande Eroe. Senza dubbio, il più imponente: un metro e 93 di altezza, cicatrice al sopracciglio, status di single vagabondo, dopo il divorzio da Lisa Bonet.
Con una sola manovra dell’occhio rimette tutto in prospettiva: l’infanzia a Honolulu, l’adolescenza nella periferia di Des Moines tra opere di Keith Haring e Willem de Kooning, l’arte del dare gas e perdersi per il mondo in sella a una Harley-Davidson. Lo star system continua a reclamarlo: lo attendono la miniserie Apple Chief of War, l’adattamento del videogioco Minecraft, il ritorno al franchise Fast & Furious. In testa, un travel show che piacerebbe al David Carradine di Fast Charlie… the Moonbeam Rider. Si chiama On the Roam e saràdisponibile su Discovery+ dal 26 febbraio, un episodio a settimana ogni lunedì. Di viaggio in viaggio, la docu-serie esplora avventure e passioni dell’attore – artigianato, rock, armature – fino all’incontro con i suoi mostri sacri, dai fabbri eremiti ai costruttori di telai e motori, dai fotografi di paesaggi agli stunt con cui si allena sui set.
In “On the Roam” c’e il Momoa che non conoscevamo ancora. «Mettermi in viaggio a Fort Worth e trovarmi nel garage di Terry Shanks oppure osservare un fotografo come Todd Hido – il mio mito dopo Tom Waits – e vedere la sua Leica compiere magie tra i paesaggi dell’Idaho, dove sono cresciuto, è come sentire l’America che apre le porte. Ogni artigiano di On the Roam è un pezzo di vita che porto con me: dalla giacca con la fodera di viscosa ai corni di Baba Voss in See fino a gemme e pietre tagliate ad arte da Richard Baggett. Per non parlare del guardaroba di Aquaman o dei pugnali targati Neil Kamimura – il suo bisnonno è stato il primo ed ultimo fabbro delle Hawaii. I miei personaggi non esisterebbero senza questa tribù di amici-artigiani. Tutti gli artisti di cui mi circondo hanno qualcosa da insegnare e sono parte del mio vivere zingaro. Rendo loro il tributo che meritano. Sono un papà orso ma con l’eterna curiosità di un bambino. A tenermi acceso è l’empatia umana».
Ha terminato le riprese di In The Hand of Dante, diretto da Julian Schnabel. Ora che è ufficiale una seconda stagione di “On the Roam”, l’Italia sarà tra le prossime tappe? «Potrei girare una dannata, intera stagione di On the Roam sugli artisti italiani! Siete gli inventori dell’artigianato. Se solo potessi passare tutto il tempo seduto accanto a un calzolaio, in bottega. Sarebbe un onore anche scovare borghi sperduti e rubare con gli occhi le specialità della casa, soprattutto la pasta fatta a mano. Poi ho un debole per l’abbigliamento: se penso agli abiti Valentino, non esco più dal guardaroba. Julian Schnabel? Lo aggiungo alla lista degli artisti generosi che ho incontrato. Tra un ciak e l’altro in Sicilia e a Venezia, mi ha insegnato nuove tecniche di pittura e di regia. Non a caso, On the Roam è co-diretto e prodotto da me. In casa ha una maglia del Palermo… «Non vedete quanto gesticolo?! Sono diventato un siciliano vero!»