L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sulle parole nel post-gara contro la Macedonia di Gabriele Gravina.
«Il progetto Mancini va avanti. Sono pronto alle critiche. Ma non c’è spiraglio per altri scenari. Anche politici». Nella notte più buia, Gravina con accanto un Mancini colpito a fondo, cerca la sua via di uscita. Sapendo che in questo momento il tecnico sta vacillando nelle sue convinzioni, la propone al movimento. Ma non sarà semplice attuarla. A partire da quello che il ct campione d’Europa ma caduto in una partita imperdibile, deciderà di fare nei prossimi giorni. Il paradosso di questi play off ci manda adesso a Konya, contro la Turchia, martedì prossimo, nella più assurda delle gare di spareggio senza valore, con la testa di tutti nel pallone. Giorni febbrili, nei quali in via Allegri dovranno essere pronti anche mettere in atto un piano B. Il contratto di Mancini, scadenza giugno 2024, rinnovato prima dell’Europeo, in questo momento è una delle soluzioni sul tavolo. Le dimissioni manciniane sono però una possibilità. Gravina cercherà di capire se il tecnico è disposto a continuare con convinzione. In caso contrario, le piste da battere non sono molte. Il 2 giugno si gioca a Londra Italia-Argentina, rinata coppa intercontinentale per nazioni. Occorrono risposte rapide. La principale alternativa potrebbe portare a Fabio Cannavaro (più di Rino Gattuso), ricordando l’opzione mai scaduta nei confronti di Marcello Lippi dt. Futuribili azzardati e troppo anticipati, forse. Ma mai come in questo momento serve uno sforzo di realismo.
BLINDATO. L’Irlanda del Nord nel 1958, la Macedonia del Nord ieri, passando dalla Corea del Nord nel 1966 e per la Svezia che è a Nord. Tutti eventi nefasti, sconfitte azzurre anti mondiali, che hanno sempre tolto la stella polare alla nostra Federazione. Restando ai tempi recenti, il volto terreo di Gravina, mezzora dopo lo choc di Palermo, era lo stesso di Abete e di Tavecchio, finiti travolti dall’eliminazione dell’Italia da un torneo iridato. L’attuale presidente della Figc, pur visibilmente scosso, ha avuto però una reazione differente, in linea con quanto sostenuto nelle scorse settimane. «E’ la legge del calcio, nel mondo dello sport bisogna accettare i verdetti. Ma sono amareggiato, moltissimo, per i nostri tifosi, dopo il trionfo di Londra. Questa eliminazione è stata imprevista, non prevedibile. Come è possibile sia successo? A settembre abbiamo pagato uno scotto alla ripresa dove i ragazzi sono arrivati non al meglio della preparazione. Ma lo spirito era quello giusto, qui a Palermo, che è stata fantastica. La verità è che dobbiamo capire il rapporto che c’è tra la federazione e la Nazionale e il rispetto che merita. I club non hanno responsabilità per questa sconfitta né pesa il mancato rinvio del turno di campionato. Pesa molto di più il fatto che da noi i giovani non sono utilizzati, che nelle Primavera c’è solo il 30% di giocatori. Mancini? Mi auguro continui, ha un impegno, un progetto. Smaltisca in fretta le scorie, ritrovi le energie che io ritroverò, anzi che io ho» Due partite vinte probabilmente non risolvono i problemi del calcio, come aveva detto all’antivigilia Gravina («abbiamo avuto fortuna all’Europeo? Sì, anche. La stiamo pagando ora? Sì. Abbiamo finito di pagarla? Non lo so, vedremo tra poco…»). Ma due eliminazioni consecutive dal mondiale come mai avvenuto prima nella storia patria, ne creano uno gigantesco, sostanziale. Ripetere legittimamente e più volte negli ultimi mesi che in caso di mancata qualificazione non ci sarebbero state dimissioni da parte sua evidentemente lasciava trasparire palesi inquietudini. Sul piano della governance era stata evidente la blindatura della sua maggioranza, con la quadratura federale intorno alla sua leadership, esercitata con merito in questi tre anni e mezzo di presidenza, messa in crisi. Ma a otto mesi dal trionfo di Londra la Federcalcio si trova a misurarsi con un crollo micidiale. In passato era accaduto solo tre volte con una squadra campione d’Europa non arrivasse poi al torneo iridato: era capitato alla Cecoslovacchia nel 1978, alla Danimarca nel 1994 e alla Grecia nel 2006.