Il giornalista Paolo Condò, sulle colonne de La Repubblica, ha commentato l’eliminazione dal Mondiale dell’Italia
La differenza dei numeri fra Italia e Macedonia del Nord è talmente grande da rendere la sconfitta di Palermo un’assurdità. Ma se la straordinaria Nazionale di Wembley si è ridotta a questo ectoplasma di squadra in balia dei propri fantasmi, strutturalmente incapace di segnare un golletto a una formazione classificata 67ª nel ranking Fifa, è evidente che i macedoni hanno soltanto preceduto di alcuni giorni i portoghesi nel ruolo di killer delle nostre ambizioni. Due Mondiali mancati consecutivamente equivalgono a una fusione del nocciolo dalla quale il nostro calcio faticherà molto a rialzarsi: non tutti l’hanno capito, ma la Nazionale era la ciambella di salvataggio alla quale aggrapparsi in questa fase difficile. Una base sicura nella quale riorganizzarsi per ripartire, altro che un fastidio (come è stata vissuta dalla Lega). Premesso questo, ovviamente non esiste che la squadra capace meno di un anno fa di vincere l’Europeo abbia sperperato in questo modo un capitale di personalità. Perché questo è stato ieri il primo problema: se si esclude Verratti, che purtroppo sa fare tutto tranne che i gol, a Palermo la tendenza generale è stata quella di cercare sempre un compagno al quale affidare la responsabilità dei palloni pesanti. Nelle situazioni — crescenti col passare dei minuti — nelle quali un azzurro entrava in area palla al piede cercando l’assist, o almeno la sponda per il triangolo, gli attaccanti sembravano nascondersi dietro ai difensori macedoni. Sui palloni che arrivavano dalla linea di fondo, i più pericolosi, non c’erano spaziature: tutti sulla stessa linea, mai uno che arretrasse in zona dischetto a dettare il passaggio. E non è accettabile che i campioni d’Europa non sappiano mantenere la calma nell’area rivale, non riescano a ragionare sotto pressione. Non è credibile che non sia stato battuto in modo decente un solo corner, dei mille tirati. Non è pensabile che il sassolino del pareggio con la Bulgaria di settembre si sia trasformato in una frana di queste proporzioni. È del tutto inutile, a questo punto, ricordare i due rigori sbagliati da Jorginho, perché se esci con la Macedonia del Nord non hai diritto ad alcuna attenuante. Nemmeno quella di aver perso nell’ultimo allenamento l’opzione Scamacca, il centravanti sfrontato che certamente Mancini avrebbe lanciato nella mischia nel secondo tempo, perché in area mancava clamorosamente un 9 forte fisicamente e con la tecnica per provare la giocata nello stretto. Ma sono argomenti che ci eravamo preparati a considerare in caso di eliminazione da Ronaldo: Trajkovski ha calciato un diagonale di rara precisione — complimenti — ma tra Barella che arranca, Immobile invisibile e Insigne senza qualità, gli azzurri avevano fatto a gara per scodellargli su un piatto d’argento la beffa finale. Ci ha tradito persino Berardi, il più vivace davanti, cui è capitato il match-point. Parliamo del catastrofico errore del portiere Dimitrievski, che in una comica interpretazione della partenza dal basso gli ha passato la palla alla mezz’ora, ed era pure distante dai pali. Il fatto che l’attaccante del Sassuolo, anziché calciare con forza nella porta vuota, abbia tirato una mozzarella che il portiere è riuscito a recuperare senza nemmeno troppo affanno, dice tutto della pesantezza psicologica che ha schiacciato l’Italia. Ci risolleveremo, è successo: ma scordiamoci che succeda presto.