Italia arriva l’assegno unico: 250 euro a figlio dal mese di luglio. Ecco a chi spetta

È arrivato alla fase finale il ddl relativo all’assegno unico per i figli. Dopo mesi e mesi di stand by (il primo ok della Camera risale all’estate 2020), finalmente domani 30 marzo il Senato inizierà l’esame del disegno di legge del provvedimento che rivoluziona gli aiuti alle famiglie.

Come aveva anticipato la ministra Bonetti e come ha confermato il premier Draghi, dal 1° luglio 2021 tutte le famiglie che hanno un figlio fino a 21 anni a carico riceveranno fino a 250 euro al mese per ogni figlio, con una maggiorazione per i figli disabili. L’importo sarà modulato in base all’Isee e diviso in parti uguali tra i genitori.

Si tratta di una piccola rivoluzione che azzera tutti gli attuali strumenti e benefici a favore delle famiglie e li fa convogliare nel nuovo assegno, anche se secondo alcune stime, 1,3 milioni di famiglie riceveranno meno rispetto ai bonus attuali: a essere penalizzati dovrebbero essere i lavoratori dipendenti a favore di autonomi e incapienti.

Assegno unico per le famiglie, cos’è e a chi spetta
L’assegno unico sarà un contributo mensile o un credito d’imposta di cui le famiglie potranno beneficiare per ciascun figlio da 0 fino ai 21 anni di età. In caso di maggiore età potrà essere erogato direttamente ai figli.
Sarà di importo fino a 250 euro circa (con una maggiorazione per i disabili), ha assicurato il premier Draghi. L’ammontare dell’assegno sarà modulato in base all’Isee e diviso in parti uguali tra i genitori. È prevista una maggiorazione a partire dal secondo figlio e un aumento tra il 30% e il 50% in caso di figli disabili.

L’assegno andrà a tutte le famiglie, compresi incapienti, autonomi e partite Iva, finora escluse perché gran parte dei sostegni alle famiglie sono legati al contratto di lavoro (dipendente) o a detrazioni (che non si percepiscono con livelli di reddito sotto la no tax area).
Questa misura nelle sue intenzioni prevede un riordino della normativa welfare, quindi la sua introduzione dovrebbe coincidere con la cancellazione degli attuali sussidi familiari: bonus bebè, detrazioni figli a carico, bonus mamma, assegni al nucleo familiare, bonus mamma.

Assegno unico figli, chi sarà penalizzato?
Secondo una simulazione effettuata dal Gruppo di lavoro Arel/Feg/Alleanza per l’infanzia, rilanciata da Repubblica, l’assegno unico universale per i figli rischierebbe un taglio dell’importo rispetto ai 250 euro annunciati e alcune famiglie potrebbero ottenere una somma più bassa.

Abbiamo detto che l’assegno (come credito di imposta o accredito mensile) ingloberà le agevolazioni attualmente esistenti e sarà legato all’Isee. Secondo lo scenario prospettato, l’80% delle famiglie italiane prenderebbe 161 euro al mese per ogni figlio minore e 97 per ogni figlio under 21. Il calcolo è legato alla considerazione secondo cui 8 famiglie su 10 hanno un’Isee sotto i 30 mila euro.

L’importo dell’assegno diminuisce se si alza l’Isee: per un Isee sopra i 52mila euro, il contributo scende a 67 euro mensili per i figli minori e a 40 euro per i figli maggiorenni ma di età inferiore ai 21 anni. Il quadro, sottolinea Repubblica sulla base dello studio disponibile online, favorisce autonomi e incapienti, categorie oggi escluse dagli assegni famigliari.

Risulterebbero sfavoriti i lavoratori dipendenti: 1,35 milioni di famiglie perderebbero in media 381 euro all’anno. Per tamponare questa disparità, si sottolinea, occorrono 800 milioni in più all’anno.

Requisiti per ottenere l’assegno unico
Per aver diritto all’erogazione dell’assegno unico devono essere rispettati i seguenti requisiti:

l’assegno è riconosciuto a tutti i lavoratori cittadini italiani, titolari di un reddito da lavoro dipendente a tempo indeterminato o determinato, autonomi, o con partita Iva;
l’assegno spetta anche ai genitori single con figli fiscalmente a carico;
per i soggetti cittadini UE o Extra UE è necessario:
avere il permesso di soggiorno (per soggiornanti di lungo periodo o per motivi di lavoro o di ricerca di durata almeno annuale);
versare l’Irpef in Italia; vivere con i figli a carico nel nostro Paese; essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche non continuativi, ovvero essere in possesso di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o di durata almeno biennale.