L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sulla gara di domani tra Italia e Macedonia e lo fa attraverso le parole di Pandev.
Non sarà il suo playoff, ma Goran Pandev, per vent’anni e 122 partite totem del calcio macedone, non ha rimpianti: «Avevo deciso di chiudere con la Macedonia già prima dell’Europeo: è giusto che crescano i giovani. Magari il playoff promozione con il Parma, se ce la facciamo…». Sarebbe stata dura, domani, giocare Italia-Macedonia: «Per uno che da vent’anni vive in Italia, dove sono nati i suoi figli… Almeno fosse stata finale: una delle due sarebbe andata al Mondiale di sicuro».
La Macedonia fa quasi meglio con le big, e la Germania lo sa.
«Più attenzione, più motivazioni: contro i campioni vogliono giocare bene tutti. La mentalità balcanica è questa: puoi battere la Germania e perdere con Andorra».
La mentalità è anche andarsene molto giovani per cercare un altro calcio.
«In nazionale, soltanto il terzo portiere gioca nel campionato macedone. Per forza: il campionato è un disastro, le infrastrutture sono quelle di 30-40 anni fa, fanno schifo. Ho provato a cambiare qualcosa, ho aperto una scuola calcio, ma non ci aiuta nessuno, neanche la federazione».
Di cui lei, si dice, potrebbe diventare presidente.
«Non è quella la mia idea, io vorrei solo che il calcio da noi cambiasse: entrano soldi da Uefa, Fifa, dopo l’Europeo anche da qualche sponsor, ma continuano a pesare troppo la politica e gente che non capisce di calcio e pensa solo a come guadagnare e poi andarsene. Non vedo un progetto da vent’anni».
E se fosse presidente, cosa direbbe alla squadra prima di questo spareggio con l’Italia?
«Prima di giocare quello con la Georgia per andare all’Europeo ci guardammo in faccia per dirci: solo noi possiamo cambiare qualcosa e fare felice la nostra gente. I ragazzi che ci sono oggi faranno più o meno lo stesso».
E come finisce l’altra sfida?
«La Turchia è una bella squadra, ma credo passerà il Portogallo, anche se avrà addosso pressione perché favorito e gioca in casa».
E anche perché ha CR7, lei che di Ronaldo se ne intende?
«Quando all’Inter c’era il Fenomeno, io facevo il raccattapalle e a volte mi allenavo con lui, quando mi chiamavano dalla Primavera: impressionante, il più forte degli ultimi trent’anni. Con tutto il rispetto per Cristiano, uno di quelli che vive per il gol e ti aiuta a vincere le cose importanti».
Quanto ha perso la Macedonia quando se n’è andato Angelovski?
«Aveva portato serietà, professionalità: con lui giocava chi meritava, non chi poteva essere venduto bene in Europa come volevano i d.s. e i procuratori. Il gruppo di oggi l’ha creato lui: non conosco bene Milevski, gli auguro il meglio, ma non sarà facile fare come Angelovski».
Intanto Milevski non ha chiamato Nestorovski.
«Mi spiace tanto per lui: so quanto ci teneva ad esserci, a Palermo poi… Ilija ha dato tanto per la Macedonia, voleva almeno stare col gruppo: sarebbe servito più rispetto, cosa cambiava chiamare uno o due giocatori in più? Con la sua esperienza e la conoscenza dei difensori italiani ci avrebbe dato una mano anche in 20’».
A proposito di difensori italiani: Bonucci e Chiellini mettono in soggezione?
«Giocano insieme da una vita e si conoscono a memoria: se non ci saranno, sarà un bel vantaggio per noi. A me piace molto anche Bastoni: farà una gran carriera».
Con Gigi (Buffon) le è capitato di parlare di Gigio (Donnarumma) e del suo momento complicato?
«Chissà quanti altri errori gli capiterà di fare: resta uno dei cinque portieri più forti d’Europa, un episodio non cambia il valore di un giocatore».
In pochi come lei conoscono il pianeta Lazio: perché Immobile fa molto meglio lì che in Nazionale?
«Non è facile neanche alla Lazio: hai la piazza addosso. Ma con Sarri la squadra gioca molto per lui e forse in Nazionale sente un po’ di pressione: normale, da titolare di una squadra che ha sempre avuto grandissimi centravanti. Ma lui è utile per il gioco che vuole Mancini: forse ha solo bisogno di fare due o tre gol di seguito, per sbloccarsi».
A proposito di piazze: quanto è difficile giocare a Palermo?
«E con lo stadio al cento per cento della capienza: grande calore, l’hanno scelto per quello».
Mancini non ha scelto l’ex compagno di Triplete, Balotelli.
«Se c’è uno che conosce a memoria Mario è il Mancio: lo ha allenato ovunque. Magari in una partita secca è tipo da esaltarsi, ma non sta a me dire se sarebbe servito o no: io posso dire che a noi serviva Nestorovski, invece l’Italia ha dieci attaccanti e dunque un Balotelli in più o in meno non cambia molto».
E cambia per la Macedonia non avere Elmas?
«Fondamentale, forse il più forte dei nostri, e conosce bene anche gli italiani: ci mancherà».