Incubo Seregno, Fumagalli: «Come Gomorra, botte e minacce. Un clima di terrore»
L’edizione odierna de “La Gazzetta dello Sport” si sofferma sull’incubo vissuto al Seregno da Ermanno Fumagalli.
In oltre vent’anni di carriera ha girato l’Italia, partendo dal Nord (Fiorenzuola e Lodi) e stabilendosi per qualche anno in piazze molto calde del Sud, da Messina ad Avellino, da Caserta a Foggia, dove il calcio incendia gli animi. Ma è dovuto arrivare a Seregno, nel cuore della Brianza, perché davanti ai suoi occhi si spalancasse un mondo. Un brutto mondo fatto di violenze, intimidazioni, minacce. «Era Gomorra», dice. Quello che Fumagalli, assieme ad altri compagni, ha avuto il coraggio di raccontare al presidente Davide Erba qualche settimana fa ha portato all’allontanamento del dg Ninni Corda e di due suoi fedelissimi, il difensore Christian Anelli e il centrocampista Federico Gentile, tutti e tre arrivati la scorsa estate dopo la promozione del Seregno in C. E ha fatto scattare l’inchiesta della Procura di Monza. Fumagalli ha accettato di raccontare alla Gazzetta i suoi mesi di angoscia dentro uno spogliatoio sotto scacco. Lo fa omettendo tutti quei particolari che potrebbero essere utili alle indagini e che sono coperti da segreto.
Ermanno, che clima c’era al Seregno fino a un mese fa?
«Troppo pesante. Non era calcio. A partire dagli allenamenti».
Come erano?
«Ci si allenava giocando a pallamano, una specie di calcio fiorentino dove valeva tutto, per vincere. E quando dico tutto, dico: tutto».
E quando perdevate che cosa succedeva?
«Una volta siamo stati convocati alle 6 del mattino e abbiamo corso per un’ora. Dopo la sconfitta contro la Juventus U23 siamo arrivati alle 7 e abbiamo dovuto rivedere la gara del giorno prima. Non era una squadra, era una caserma. Sempre in trincea».
Fino al punto di non ritorno.
«Esatto, quando mi hanno minacciato ho capito che non potevo più accettare tutto questo».
Che cosa è successo, racconti.
«Stava per incominciare l’allenamento e mi si sono avvicinate alcune persone che conoscevo perché bazzicavano attorno alla squadra. “Ti veniamo a prendere a casa, forse non hai capito”. “Non rivedrai più la tua famiglia, stasera saluta Jacopo”. Quando hanno fatto il nome di mio figlio, non ho più capito niente».
Ha avuto paura?
«Non soltanto io. Mia moglie, con due figli in casa, non era più serena. Non era calcio, era Gomorra. E’ stato devastante».
Aveva mai vissuto prima cose simili?
«Mai, in vent’anni che faccio questo lavoro. Anzi, questo sport, perché il calcio per me non è mai stato un lavoro. Ho giocato in piazze caldissime, ma mai e poi mai ho visto queste cose».
Ma perché hanno minacciato proprio lei?
«Forse perché mi comporto da professionista. Nessuno ha mai potuto parlare male di me, come persona. Il fattore umano, per me, è fondamentale».
Il suo presidente ha accusato Corda, ma anche due suoi compagni. Che rapporto avevate con loro?
«Di sopportazione. Ognuno di noi pensava: speriamo di vincere domenica, sennò… Ma il pensiero di un calciatore deve essere: dai che domenica ci divertiamo e facciamo una grande partita».
Invece, cosa succedeva?
«C’era una tensione continua».
Qualche suo compagno è stato picchiato?
«Sì, tra il primo e il secondo tempo di una partita una persona, di cui non faccio il nome, ha messo le mani addosso a due ragazzi. Non so perché l’ha fatto».
Se certi metodi erano una esclusiva di Corda, che ruolo aveva l’allenatore Mariani?
«Non riusciva a esprimersi per il forte condizionamento di quella persona, non era libero come adesso. E ora parlano i fatti».
Cosa intende dire?
«Che con un clima sereno arrivano anche i risultati. Prima, anche a livello di testa, non c’eravamo. E se non ci sei fai entratacce, rispondi male all’arbitro, che poi ti punisce… Non potevamo neppure salutare gli avversari prima delle partite. Se lo facevi eri visto male, non eri considerato pronto alla guerra. La guerra: ma che roba è? Una cosa è la cattiveria agonistica, un’altra la violenza».
L’audio del presidente Erba prima della partita contro il Padova ha lasciato perplessi.
«Si sta travisando un messaggio privato, usato per interessi personali. Era goliardico, motivazionale. Il presidente è l’opposto di quello che appare in quell’audio, una persona dal cuore devastante. Non merita certi attacchi».
Ha mai pensato di lasciare il Seregno?
«Sì, ma per fortuna il presidente ci ha liberato da questo incubo. La sera tornavo a casa e stavo male. Per me il calcio è passione, divertimento, amore. La fiammella si stava spegnendo, adesso è stata riaccesa. Ci sono più serenità, più armonia, più compattezza. Se vogliamo possiamo anche fare la battuta, nello spogliatoio, si può ridere. Ho riconquistato il mio calcio. Prima c’era Gomorra».