L’edizione odierna de “Il Corriere della Sera” riporta le parole del traslocatore di Matteo Messina Denaro.
Matteo Messina Denaro la mattina del 24 maggio 2022 chiamò al telefono lui, Gianni Jihed, 33 anni, origini tunisine ma nato qui a Mazara del Vallo, sposato con Valentina, tre figli piccoli, titolare dell’azienda di traslochi «Casa Nuova», per spostare il suo covo di Campobello di Mazara (località che dista una quindicina di chilometri) da via San Giovanni 260 a vicolo San Vito. La ditta di traslochi è sull’elenco, il boss ha chiamato come un cliente normale. Ricorda quella telefonata, signor Jihed? «Adesso sì che me la ricordo, dopo tutto il casino che è scoppiato».
Lui come si presentò? «Non fece nomi, aveva una voce molto rilassata, disse che aveva bisogno di un trasloco a Campobello e mi mandò le foto dei mobili su WhatsApp con l’indirizzo di via San Giovanni 260».
Mobili di lusso? «Macché, un letto, una lavatrice, il frigo con il famoso magnete “Il padrino sono io” e due armadi completamente vuoti. Roba economica tanto che gli feci un prezzo basso».
Cioè? «Cinquecento euro in contanti alla consegna, mi disse che per la fattura mi avrebbe mandato poi i documenti e il codice fiscale che in quel momento non aveva con sé».
Poi glieli ha mandati i documenti? «No. Su Whatsapp io lo registrai semplicemente come Preventivo Campobello».
E come andò il trasloco? «Io ho tanti lavori, non potevo farlo subito, così prendemmo appuntamento per la mattina del 4 giugno alle 7.30. Lui disse che i mobili si trovavano al primo piano della casa di via San Giovanni, perciò insieme al camion mandai anche il rimorchio con la scala aerea. Ma non andai io personalmente, per quella consegna incaricai due miei dipendenti e altri due li chiesi in prestito a un’altra ditta. Tutti ragazzi trentenni come me, che non l’hanno riconosciuto. Il camion del trasloco è parcheggiato qui fuori, se lo volete fotografare».
E il 4 giugno come andò? «Quella mattina alle 7.10 gli mandai un Whatsapp per avvisarlo che saremmo arrivati con circa 20 minuti di ritardo. Mi inviò allora un messaggio vocale che ancora conservo sul telefonino e a risentirlo oggi mi fa davvero accapponare la pelle. Stavolta la sua voce era molto infastidita, il tono sempre calmo ma completamente diverso. Disse: “L’importante è che non tardate ancora. Vi stiamo aspettando fuori…”».
Parlò al plurale? C’era forse una donna con lui? «No, era solo. Uno dei due miei dipendenti, Mohamed, tunisino, mi ha detto che una volta entrati a casa in via San Giovanni Messina Denaro però tornò subito affabile e fece i complimenti ai quattro ragazzi: “Lavorate bene” ha detto. Poi ha offerto loro dell’acqua e il caffè».
Mohamed notò qualcosa di particolare durante il trasloco? «Gli armadi sul camion era no vuoti, non c’erano vestiti né carte nei cassetti, anche il poster di Joker il mio operaio l’ha visto già nella casa nuova, pronto da appendere. Alle sue cose deve averci pensato il boss direttamente».
E poi? «E poi quando è stato scoperto il covo di vicolo San Vito, uno degli operai dell’altra ditta l’ha riconosciuto in tv e l’ha detto a suo padre che è venuto subito da me. Mi ha detto: ma che hai mandato mio figlio a fare un lavoro per Matteo Messina Denaro? Era giovedì scorso, il 19 gennaio, io allora ho chiamato Mohamed e gli ho detto: guarda la tv, ma la casa del boss è quella dove voi avete portato i mobili? E quando me l’ha confermato, non ho capito più niente. Ho chiamato un mio amico avvocato, Antonio Mariano Consentino, per chiedergli consiglio e lui mi ha portato subito alla polizia che così ha trovato sul mio cellulare anche l’indirizzo del covo di via San Giovanni».
Adesso ha paura? «Cosa dovrei temere? In questa città tutti mi conoscono, ho portato col camion aiuti in Ucraina, ho fatto un lavoro anche per Anna Corona, il nome non dovrebbe suonarvi nuovo se avete seguito il caso della piccola Denise Pipitone. Pure a Mazara 2, il quartiere più difficile, sono benvoluto. Io lavoro, faccio traslochi, non sono una spia»