Siamo così abituati a sentirle citare che ci sembrano ormai accessori del nostro salotto: Moody’s, Standard & Poors, Fitch. Sono le temutissime agenzie di rating, quelle che valutano la tenuta dei titoli azionarie, più in generale, l’affidabilità economica delle nazioni. Quelle siglette (AAA, BBB…) sono entrate nell’immaginario collettivo, e hanno il potere di farci sentire più ricchi o più in crisi. Ora il concetto di rating potrebbe entrare a vele spiegate anche nel calcio italiano, ed è l’ultima idea del vulcanico Carlo Tavecchio, numero uno del nostro pallone, uomo sempre sospeso tra conservazione dell’esistente e pulsioni innovative. Cosa ha pensato il dirigente lumbard? Di istituire, appunto, un criterio di valutazione (rating) per accedere o meno alla serie A che verrà. In sintesi estrema: se hai lo stadio a norma con gli impianti funzionanti, un assetto societario stabile, un settore giovanile florido, se in cassa hai i margini per fare mercato senza passare sotto le forche caudine dell’Uefa e del Fair Play finanziario, le porte del calcio che conta si apriranno. In caso contrario non importa se ti chiami Juventus e Crotone: sotto i tuoi piedi si spalancherà la botola chiamata serie B.
Le finalità. Abbastanza cristallino il disegno di Tavecchio e della Figc: da una parte si spinge i club a migliorare gli stadi o addirittura a costruirne di nuovi. Dall’altra si alza, e di parecchio, l’asticella perché la riforma dell’italica pedata prevede una forte riduzione delle squadre professionistiche, dalla A alla Lega Pro: oggi sono 102, dovrebbero (potrebbero) diventare 78 entro due-tre stagioni: con il giro di vite proposto da Via Allegri le vittime non sarebbero poche.
Chi ride e chi no. Già. Perché, analizzando solo la situazione della serie A, diversi club attualmente rischierebbero l’oblio. Pensiamo al Crotone, che ha iniziato la stagione senza stadio e che soltanto domani potrà aprire le porte dello Scida grazie a una generosa deroga: lo stadio calabrese però nemmeno si avvicina alla capienza minima prevista per la serie A (ventimila). In regime di deroga stanno vivendo anche l’Empoli (per il Castellani però esiste un progetto già avviato), il Cagliari (il nuovo Sant’Elia sarà pronto tra due-tre anni), il Napoli (il San Paolo è ormai inadeguato ed è oggetto di cicliche ispezioni, ma non può durare a lungo). Juventus Stadium, San Siro, l’Olimpico, Mapei Stadium, Friuli di Udine e Franchi di Firenze sono gli unici impianti che rispondono pienamente ai parametri europei, mentre il Dall’Ara di Bologna, Marassi, il Bentegodi e l’Adriatico di Pescara e il Barbera di Palermo, quasi tutti ristrutturati per Italia 90, si stanno mettendo a posto a colpi di lifting. Ma per il rating, Tavecchio docet, non sempre basta avere uno stadio decente.
Esempio Palermo. Pensiamo ad esempio al Palermo, dove Zamparini praticamente non ha fatto mercato, defilandosi dalla società: si stanno affacciando cordate statunitensi e cinesi, ma serve stabilità gestionale, altrimenti addio futuro. Qualcosa di simile sta accadendo alla Sampdoria, dove Ferrero nominalmente è saldo in sella, ma dove negli ultimi tempo sono usciti fuori problemi legati al bilancio del club e alle garanzie sui debiti del calciomercato (Ferrero ha comunque sempre minimizzato) ottenute da una compagnia assicurativa in difficoltà finanziarie. Anche in questo caso il rating non perdonerebbe i blucerchiati. Ma anche i grandi club avrebbero qualche grana, qualora il criterio-Tavecchio diventasse realtà. L’Inter, ad esempio, che grazie all’ingresso di Suning ha abbattuto il suo maxi-debito ma che è ancora sotto osservazione dall’Uefa, il Milan, la Roma, tutti club con forte segno rosso. Magari sarà un fuoco di paglia, magari le maglie saranno ammorbidite. Ma da oggi la parola rating scende in campo e non sarà un avversario semplice da domare”. Questo ciò che si legge sull’edizione odierna de “Il Tirreno”.