L’edizione odierna de “Il Mattino” riporta un’intervista a Rino Foschi il quale ha parlato della sfida finale playoff tra Padova e Palermo.
«Quando è stata l’ultima volta che il Padova aveva riempito l’Euganeo? Con il Novara, nella finale playoff, c’ero io e portammo 22mila spettatori!». Parola di Rino Foschi, che ha la stessa cadenza, lo stesso tono di voce, la stessa vivacità dell’epoca. E adesso sta anche meglio, è più rilassato, non ha una squadra da allestire o un allenatore da cazziare. Anche se li vorrebbe avere tanto. Non ci potrebbe essere personaggio migliore per parlare dell’imminente finale tra Padova e Palermo. Perché nella sua carriera trentennale il direttore sportivo romagnolo ha lavorato in ben 14 piazze diverse, ma ha lasciato il solco sia in biancoscudato che in Sicilia. Soprattutto in Sicilia, dove ha portato il Palermo ai fasti più grandi della propria storia.
«Non chiedetemi per chi tiferò domenica anche perché non saprei scegliere. Ho il cuore diviso anche se Palermo per me ha rappresentato qualcosa di speciale. Sono stato otto anni, nel primo ciclo abbiamo raggiunto la promozione in Serie A dopo 34 anni, abbiamo centrato tre volte la qualificazione in Europa, abbiamo sfiorato la Champions e portato cinque giocatori a vincere il Mondiale. Poi sono tornato e mi hanno fatto anche presidente. In mezzo c’è stata Padova, esperienza bella, intensa e piena di rammarico».
Anche in quel caso la Serie A sembrava a un passo. «Dovevamo conquistarla, sarebbe stata meritata. Quante cose sono successe. Se non fosse stato espulso Cesar contro il Novara avremmo vinto. Ma è stato un mese incredibile, lo stadio che si è riempito alla follia, io che firmo con l’Atalanta su pressione di Percassi, Cestaro che lo scopre e si incazza e così mi convince a restare. Peccato per l’epilogo ma sono stato davvero bene a Padova».
I colpi migliori di mercato che ha fatto in entrambe le squadre? «A Palermo si ricordano di Cavani, che chiusi anche in albergo a Mila[1]no perché nessuno scoprisse che fosse lì. Lo volevano tutti, anche il Real Madrid. Gli dissi “ora ceniamo, poi dopo la firma sei libero”. Anche a Padova in quei tempi arrivarono bei giocatori. El Shaarawy, Perin ma penso anche a Jelenic che era molto giovane e adesso è ancora lì».
Come la vede questa finale? «Non l’avrei voluta vedere, perché entrambe le piazze meritano di stare ben più in alto. Non l’avrei voluta vedere perché il Padova non doveva essere qui, avrebbe dovuto vincere il girone perché aveva tutte le possibilità. Invece il Palermo è partito peggio e si è ripreso solo con il nuovo allenatore».
Padova favorito quindi? «No, è equilibrata ma secondo me la bilancia pende un pochino di più dalla parte del Palermo. Per un solo motivo: l’incredibile bolgia di quello stadio. Palermo è la quinta città d’Italia, porta 40mila tifosi al Barbera, è un aspetto che può fare la differenza anche contro una piazza di tutto rispetto come Padova che non è certo l’ultima arrivata. La finale di ritorno si gioca lì, fosse stato il contrario allora i biancoscudati avrebbero avuto più chance. Oddo deve vincere bene all’andata per mettersi al sicuro».
Le piace l’allenatore del Padova? «Sì, lo provai anche a prendere a Palermo, poi feci un’altra scelta e sbagliai. L’ho avuto come giocatore a Verona, un ragazzo molto intelligente, anche troppo. Lo presi a 6 miliardi di Lire per rivenderlo a 17 alla Lazio. Si vedeva che voleva restare nel calcio e a Padova si sta esprimendo alla grande».
Mirabelli lo conosce? «Certo. Ci siamo sentiti spesso quando eravamo tristi e senza lavoro entrambi. Poi un giorno mi chiama e mi dice che ha ricevuto l’offerta del Padova. Gli rispondo: “non pensarci un momento e fai subito la valigia, è un’occasione unica”. Mi ha invitato allo stadio domenica, ma soffrirei troppo. La guarderò in tv».
A 75 anni vorrebbe ancora tornare in pista? «La carta d’identità dice che ne ho 75, come passione e lucidità me ne sento 35. E l’esperienza è un fattore in più, sono sicuro che adesso farei molti meno errori di quando venni a Padova. Per questo ho ancora grande voglia di trovare una squadra».