Il Mancio ritrovato ha riacceso l’Italia
L’edizione odierna de “Il Corriere dello Sport” si sofferma sull’Italia di Mancini.
Ma cosa ce ne facciamo di questa Final Four? Ma chissenefrega di andare nei Paesi Bassi a metà giugno prossimo, contro tre reduci del Mondiale incipiente (croati, olandesi e iberici), che noi comunque alla fine guarderemo nel monoscopio, magari comprando un 52 pollici perché in fondo arriva Natale. Non c’è dubbio che questo è, legittimamente, il ragionamento più diffuso intorno alla Nazionale, anche dopo le due vittorie di Nations League, contro Inghilterra e Ungheria. Ma se la mettiamo sul piano del rimpianto la chiudiamo qui, magari con Gozzano e le rose mai colte. Diciamo allora che più che farsene una ragione magari risulta utile ragionare su quello che sta accadendo agli azzurri e se questo sia cosa buona o ingiusta.
Intanto, Massimo Catalano sottoscriverebbe, aver ribaltato la prospettiva di retrocedere in B di NL (come appena accaduto all’Inghilterra) come era possibile accadesse, sostituendola con quella di giocarsi un trofeino internazionale da una decina di milioni ci sembra un fatto positivo. Ancora di più lo è un secondo punto, non molto sottolineato in questi giorni. Ovvero che l’Italia ha finalmente ritrovato Roberto Mancini, liberatosi del passato di gloria, così da poter elaborare il lutto mondiale.
STORIA. Certo, quello del ciclo originario, che ebbe proprio nella conquista della Final Four (novembre 2020) il primo timbro di qualità del lavoro di ricostruzione svolto fin lì, era, come si dice, eroe giovane e bello, e senza macchia. Il trionfo di Wembley risultò l’apoteosi di quel percorso, fatto di record e di un’idea di gioco “eversiva”, originale, tecnica, lontana dall’usuale e da una certa fisicità. Poi sappiamo quello che è successo, negli ultimi dodici mesi e nelle 16 partite che hanno seguito la finale di Londra. Quell’Italia ha prima perso via via interpreti fondamentali (da Spinazzola a Chiesa), poi il filo di se stessa (mancando la finale di Final Four giocata a Milano, dopo la sconfitta contro la Spagna, la prima dopo 37 partite utili), fino a buttarsi via contro la Macedonia del Nord, mancando nuovamente la qualificazione mondiale. Mancini, senza fin lì aver mai rinunciato alle “certezze” certificate dalla coppa, è arrivato a un passo dalla porta di uscita ma è rimasto, dando la sensazione però di non essere rientrato del tutto dentro la casa azzurra. Lo scorso giugno è volato via tra la libecciata contro l’Argentina, giocata con i reduci dell’Europeo vinto e le prime quattro partite di Nations affrontate tra esperimenti e debutti, fino al tonfo tedesco. Quello è probabilmente stato il punto di svolta. Tanto che alla ripresa il ct ha operato scelte mirate, riducendo il gruppo e limitando le conferme dei suoi under, combattendo la permanente emergenza. Ma soprattutto, per la prima volta, ha accettato di mettere in discussione il suo credo tattico (dunque se stesso), il 4-3-3, reso zoppo dalla mancanza di Spina, Florenzi modello inglese, Verratti, Chiesa, Berardi, Insigne e Immobile. Ecco perché la scelta di passare al 3-5-2 (poco amato da Mancini) vale più di un semplice cambio modulo. Adesso l’Italia ha un’alternativa tattica importante, che può contare sul fatto che molte delle squadre da cui lui pesca si affidano a quel modello di gioco.
EVOLUZIONE. Non solo, i già citati azzurri-chiave, dopo Wembley, hanno frequentato pochissimo la Nazionale (3 volte Ciro e Spina, 4 il parigino, per dire), soprattutto per motivi fisici. Chiesa a parte, corrono tutti intorno ai trent’anni, comunque un’età di passaggio chiave per un calciatore. Tutti possono legittimamente ambire almeno al prossimo Europeo 2024, in Germania ma è chiaro che veder crescere alternative importanti, sul piano tattico e anagrafico (Toloi a parte), come visto in questi giorni, ha un valore positivo: Dimarco (come Spina), la conferma di Di Lorenzo (dopo Florenzi), Cristante (jolly di valore assoluto, al posto di Verratti) e naturalmente Raspadori. Quando avrà tutti disponibili, così Mancini potrà scegliere, anche il modulo.