Ghirelli: «Tifosi allo stadio? Ci dobbiamo credere. Terza ondata? Abbiamo un piano B»
In una lunga intervista rilasciata ai microfoni di “TuttoC” Francesco Ghirelli ha parlato dell’attuale momento che sta attraversando il nostro paese, con la terza ondata di covid che incombe, ma non solo.
Ecco di seguito alcuni estratti dell’intervista al presidente della Lega Serie C:
«Io ho sempre avuto, per fortuna e per scelta, la possibilità di lavorare con tante professionalità femminili nella mia esistenza, in diversi settori. Le ho sempre trovate più brave, più geniali, più curiosi e più sensibili. I dati che si leggono ogni giorno segnano un arretramento, penso al numero delle occupate. E anche la chiusura delle scuole penso provochi un impatto fortemente negativo soprattutto sulle donne, che pagano un prezzo ancora più pesante sul Covid. Quella mimosa è un sogno di gioia, ma anche di spazi di conquista: dobbiamo capire bene qual è il suo significato e ragionare non solo sulle parole, ma in termini concreti».
Attualità: la terza ondata preoccupa. Teme uno stop dei campionati? «Noi monitoriamo dal pre-campionato i dati, ora lo facciamo anche in Primavera 3, sotto la regia del professor Braconaro. Ragion per cui mi affido alle sue parole dell’altro giorno: al momento attuale, se si esclude il cluster della Cavese e del Cesena, la situazione sembra tenere. Certo, se c’è un’ondata dall’esterno, allora bisogna valutare: a oggi, la situazione è abbastanza sotto controllo. Però, certo, qualche nube pesante all’orizzonte si vede. Mi auguro si possa superare. Il calcio rappresenta anche un problema di svago e di gioia, pur nella particolarità di una stagione diversa e difficile: sarebbe un colpo pesante bloccarlo, credo anche di più rispetto all’anno scorso. Sarebbe un segnale non positivo. Dobbiamo andare avanti con saggezza».
Nell’eventualità, c’è un piano B? «Certo che esiste. Anzi, parlo al plurale. Esiste il piano B, C, D, E. Li abbiamo previsti mesi fa. Poi, come dissi allora, bisogna adattare il piano da seguire al momento particolare nel momento in cui dovesse scattare. Esistono i piani alternativi, spero non ci sia bisogno di farvi ricorso».
Il governo Draghi è in carica ormai da un po’ di tempo. Cosa è cambiato per voi, senza un Ministero ad hoc per lo Sport? «Una parte della responsabilità è nostra, dello sport. Non è che ci siamo presentati molto uniti. I banchi di prova saranno due: il primo è il decreto che, almeno da quello che sembra, dovrebbe essere promulgato venerdì di questa settimana, che sostituirà il Ristori V. Dovrebbe essere contenuto un intervento per quanto riguarda le spese sanitarie per i tamponi, un rifinanziamento del credito d’imposta e del prolungamento del credito d’imposta fino alla fine dell’anno. Poi liquidità sul modello PMI e lo spostamento ulteriore degli affitti delle infrastrutture sportive. Uso il condizionale finché non sarà nero su bianco, ma per noi queste misure sarebbero il minimo sindacale per reggere. Ricordo che oggi, un anno fa, si giocava l’ultima partita del girone C, mi ricordo che andai a vedere Avellino-Ternana, in una situazione particolarmente complicata. Il secondo passaggio è il recovery fund: ci stiamo lavorando, da un lato col comitato 4.0 e dall’altro con il vicepresidente Luigi Ludovici. Può trovare nelle infrastrutture sportive, ma non solo in quelle, la possibilità di un investimento non pesante dal punto di vista finanziario, capace di permeare tutto il territorio nazionale, ma anche di consentire di innescare riforme. Penso per esempio a quella della scuola, per i riflessi che ha: da questo punto di vista, i decreti sull’apprendistato spingono in questa direzione. E poi i nostri stadi possono diventare un punto di riferimento per la raccolta della plastica e anche centri di formazione di nuova cultura».
[…]. Appunto, a proposito di concretezza. In che direzione si andrà? Domani immagina più o meno squadre professionistiche? Le squadre B ci saranno ancora? Oggi Agnelli ha lanciato un grido di allarme sullo stato del calcio. «Alla fine del 2020, a dicembre, è stata pubblicata negli USA una ricerca riguardante l’approccio alla generazione Z al calcio: c’è stato un calo ulteriore di interesse, almeno del 10 per cento, verso lo sport. Il giudizio che viene fuori dal calcio è che è tutto noia: per uno come me, che è andato al campo sportivo con suo padre da bambino ed è cresciuto a pane e calcio, è pazzesco sentirlo definire noioso. Il nostro gioco, quello che riteniamo il più bello al mondo, viene messo in discussione totalmente dai giovani di oggi. Dobbiamo guardare al futuro. Come ammoderniamo questo gioco rendendolo attrattivo rispetto ai giocatori? Questo ci dobbiamo chiedere. Non dobbiamo ragionare sui numeri: aumentiamo/diminuiamo. Quello viene dopo. Noi dobbiamo chiederci se è sostenibile questo calcio, dalla Serie A alla Serie D. Al termine, si può ragionare anche sul numero. Io, essendo uno che è passato da 90 a 60 club, di tutti quelli che si siederanno al tavolo, non ho problemi o timori sui numeri. Ma so anche un’altra cosa: quando siamo passati da 90 a 60 non abbiamo risolto granché. Era un’autoriforma, fatta tutta da noi perché altri non hanno voluta farla: questo era il problema. Dobbiamo ragionare a sistema, altrimenti il rischio è ragionare ancora e solo sui numeri: 90 e 60 ce li potevamo giocare alla tombola. Io non voglio giocare a tombola, ma affrontare il problema che ci pongono i giovani».