L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sul rincaro dei carburanti e lo fa attraverso le parole di Cingoliani.
Mettere un freno al caro energia e agli aumenti dei prezzi dei carburanti muovendosi in sintonia con l’Europa. Parte da qui il piano del governo Draghi per affrontare la crisi energetica, acuita dalla guerra in Ucraina e sempre più stringente su imprese e famiglie italiane. Nessuna fuga in avanti o in solitaria, insomma, per il Paese. Pronto a passare all’azione chiedendo un tetto massimo europeo al prezzo di gas ed elettricità, investendo in nuove fonti e aggiungendo misure concrete nazionali. È il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, a farsi portavoce della strategia governativa: invoca come «fondamentale» un argine ai costi energetici «oltre il quale gli operatori europei non possano andare», dice a Skytg24. Sul boom della benzina ammette la sua sorpresa:
«L’ho visto ieri passando dal benzinaio e non so perché». Anzi, aggiunge: «Non esiste motivazione tecnica», colpa solo di «una spirale speculativa su cui guadagnano in pochi». E azzarda: «È una colossale truffa a spese di imprese e cittadini», precisando poco dopo che «si riferiva al prezzo del greggio e del gas» in rialzo esponenziale, nonostante non manchi l’offerta. Diversificare la produzione energetica, per essere più autonomi, è l’altro mantra ora, per l’Italia. Ad esempio «prendendo gas da altre regioni», suggerisce il ministro e, nel breve, garantendo «2,5 miliardi di metri cubi di gas in più» da offrire a prezzo controllato alle piccole e medie imprese energivore cioè quelle con più alto bisogno di gas. Per loro il governo sta lavorando ipotizzando l’aumento del credito di imposta, fino al 50%, oppure aiuti alle aziende più penalizzate dalle sanzioni alla Russia attraverso il fondo di garanzia a sostegno del credito, fino al taglio dei costi dei carburanti che colpisce tutti. Misure che andrebbero a integrare il pacchetto di Bruxelles che prevede tra l’altro, la tassazione degli extra profitti per le società elettriche (per la Commissione europea si potrebbe arrivare a un gettito di circa 200 miliardi). Verso la ricerca di nuovi approvvigionamenti va anche la missione del ministro degli Esteri, Di Maio in Congo e Angola fino a oggi insieme al numero uno dell’Eni, Claudio Descalzi.
Ma sono soprattutto le parole di Cingolani a scatenare reazioni. Duro, Angelo Bonelli di Europa verde: «Il ministro dice «Continuiamo a consumare gas. Anzi, ne stiamo importando di più dalla Russia. È vergognoso, deve cambiare mestiere». E sentenzia: «Il responsabile di questo disastro e della guerra sono le fonti del fossile». Scatenati pure i consumatori: sul caro benzina è pronto un esposto all’Antitrust e alla Procura firmato dall’Unione nazionale dei consumatori, Assoutenti sollecita un decreto ad hoc anti speculazioni, mentre Italia viva e socialisti chiedono a Cingolani di riferire al Senato la prossima settimana. Di certo per Palazzo Chigi il primo step non è predisporre uno scostamento di bilancio: opzione che è esclusa, al momento, nonostante qualche apertura fatta dal ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, nei giorni scorsi e il pressing di Forza Italia. Per l’esecutivo, la priorità è usare bene i fondi del Recovery plan. Nel Consiglio europeo straordinario Versailles, il premier Draghi è stato chiaro: «Cerchiamo di averlo e spenderlo», sperando forse – si commenta in ambienti parlamentari – che anche la sua maggioranza intendesse.
L’attuazione del Piano nazionale di rilancio e resilienza – si ricorda sempre negli stessi ambienti – sarebbe anche una priorità per il Quirinale. Priorità che per essere raggiunta in sicurezza ha comunque bisogno di stabilità politica, sempre più a rischio tra i partiti. In dissenso, ad esempio, è Matteo Salvini che denuncia: «Il Pnnr va rivisto da cima a fondo, è ormai un documento archeologico e va aggiornato». In più il leader leghista alza la voce «umilmente ma con forza» per chiedere un decreto contro il caro energia «la prossima settimana, non quelle successive». Ma la prima e più plausibile mossa del governo dovrebbe essere il tanto atteso intervento sullo stato di emergenza in scadenza il 31 marzo. Il dossier potrebbe arrivare sul tavolo del prossimo Consiglio dei ministri, già a metà della settimana entrante. Una mossa che potrebbe diventare, allentando le restrizioni, un primo e concreto strumento per dare ossigeno alle imprese dopo la frenata imposta dal Covid per quasi due anni.