L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sul delitto di Terrasini.
«Alberto Pietro Mulé questa volta lo ha detto, dopo tante bugie, che il coltello non era di mio figlio ma l’ave va portato lui. Era lui che girava col coltello anche quel giorno in cui era vestito in maschera e quando gli è stato chiesto perché ha colpito Paolo, non ha saputo dare una spiegazione. Ha detto che non c’era un motivo ben preciso. Che Paolo era intervenuto per mettere pace e lui ha reagito così senza un perché…».
Loredana Zerbo ha assistito a tutte le udienze del processo che si sta celebrando nell’aula bunker di Pagliarelli, compresa l’ultima in cui il giovane accusato dell’omicidio di Paolo La Rosa, il ventenne assassinato il 24 febbraio 2020 davanti ad un locale a Terrasini, ha risposto alle domande incalzanti del pubblico ministero Daniele Sansone.
E ha corretto in diversi punti le sue versioni precedenti, a partire dal fatto che l’arma era la sua. La Corte d’assise tornerà a riunirsi il 14 e il 21 dicembre prima della sentenza. Mulè era stato al centro di altri gravi fatti di sangue nella zona di Terrasini, fra i quali il tentato omicidio di Pierpaolo Celestre per il quale ha già riportato una sentenza di condanna in concorso col cugino Filippo. «Ci tenevo a far sapere proprio questo – sottolinea la madre del ragazzo – che dalla voce del giovane che ha ammesso di averlo ucciso è uscito che mio figlio è morto per niente, che non era lì per litigare ma per mettere pace.