L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma su una condanna a 16 anni per aver accoltellato un uomo.
Le grida dal pubblico nell’aula bunker dell’Ucciardone alla lettura del verdetto di condanna: 16 anni per aver accoltellato a morte Paolo La Rosa, 21 anni, quella maledetta sera del 24 febbraio 2020 a Terrasini. Ma senza l’aggravante dei futili motivi che ha fatto scattare lo sconto di un terzo della pena, previsto dal rito abbreviato che era stato inizialmente chiesto. È così che Alberto Pietro Mulé, 22 anni, difeso dall’avvocato Raffaele Bonsignore, è riuscito ad ottenere una condanna relativamente bassa ma la sentenza ieri in Corte d’assise (presidente Vincenzo Terranova, a latere Mauro Terranova) è stata accolta dalle contestazioni e dalla rabbia dei parenti e degli amici della vittima. Troppo poco, per loro, il prezzo che dovrà pagare chi ha colpito a morte quel ragazzo che aveva tutta la vita davanti. Cinque i fendenti: due, letali, erano stati inferti alla gola e due all’addome.
Il pubblico ministero Daniele Sansone, al termine della requisitoria del 21 dicembre scorso aveva chiesto l’ergastolo, per il giovane che conosceva La Rosa (entrambi di Cinisi) ma quella sera i due non si sarebbero scambiati quasi una parola. Una discussione c’era stata ma fra la vittima e il cugino dell’imputato, Filippo Mulé, che all’epoca frequentava la sorella di Paolo. Alle richieste della Procura si erano associate le parti civili costituite in giudizio per conto dei genitori, dei fratelli e degli amici della vittima, rappresentate dagli avvocati Antonio Palazzotto, Michele Palazzolo, Paolo Grillo e Gaspare Sassano. Una provvisionale di 70 mila euro riconosciuta ai genitori, risarcimenti simbolici alle altre parti costituite ma la vicenda, dopo il deposito delle motivazioni se sarà impugnata dalla Procura, è destinata ad approdare in appello.
L’arma, le immagini e i dubbi Morto «senza un perché», è stato detto in aula di La Rosa: lo stato di alterazione in cui si trovavano i ragazzi e la presenza del coltello hanno fatto degenerare in una tragedia una serata in cui ci si doveva solo divertire e che, invece, si è trasformata in un vortice di violenza registrato dalle telecamere della videosorveglianza. Mulé, che si trova rinchiuso in carcere a Pagliarelli dal giorno del fermo, aveva confessato subito le sue responsabilità ma aveva detto di essersi difeso e, ricorda il legale dell’imputato, in udienza più volte aveva chiesto perdono ai genitori di La Rosa. Per le parti civili, invece, le reticenze di Mulé sarebbero state tante a partire dall’arma, «dimenticata nella tasca dei pantaloni sotto il costume di Carnevale».
Ancora, «quei tentativi di negare l’evidenza senza spiegare perché abbia fatto quello che ha fatto». E poi quella serie di coltellate che, per l’accusa, avrebbe indicato un comportamento crudele e premeditato. Le immagini della videosorveglianza avevano immortalato quegli attimi e identificato chiaramente il giovane che aveva preso il coltello e chiuso nel sangue la rissa scoppiata in piazzetta Titì Consiglio, davanti al locale Millennium a Carnevale. Una sentenza che «non soddisfa nemmeno un po’», rilevano le parti civili ma le sentenze non si commentano ma «si censurano con i mezzi dell’impugnazione dopo aver letto le motivazioni».