L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sull’omicidio di Rosolino Celesia e l’audio che inchioda il minorenne indagato.
«No, no, che fai?» e i due colpi di pistola, immediatamente successivi e perfettamente udibili in un audio estrapolato da un video, sarebbero la prova che è stato M.O. – il minorenne, dei due fratelli indagati – a sparare e a uccidere Rosolino Celesia, detto Lino. Perché chi chiedeva «che fai?» aveva pure pronunciato il nome di M., che non facciamo perché appunto minorenne. Il ventiduenne ex calciatore sarebbe stato dunque veramente ucciso, al culmine di una lite scoppiata nella discoteca Notr3 – l’ex Reloj – di via Pasquale Calvi, proprio dal diciassettenne.
Nessun tentativo di copertura del fratello maggiore, dunque: la ricostruzione di chi indaga è stata confermata dallo stesso ragazzo, difeso dall’avvocato Vanila Amoroso, nel corso dell’udienza di convalida, che si è svolta a Natale davanti al Gip del tribunale dei minorenni, Nicola Aiello. Ora, una volta convalidato il fermo del giovane, vanno avanti le indagini della Squadra mobile, coordinate dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Ennio Petrigni e dal procuratore dei minorenni, Claudia Caramanna. Nel filmato sarebbero immortalati i momenti di grande concitazione che hanno preceduto il delitto, cioè la rissa in cui erano coinvolte tante persone all’interno del locale, anche se non si vedrebbe chi teneva la pistola in pugno.
A un certo punto, però, si sentirebbe qualcuno pronunciare distintamente il nome del fratello più piccolo: all’inutile tentativo di fermarlo seguirebbero due colpi, quelli che hanno centrato la vittima. Il minorenne è rinchiuso al Malaspina per omicidio volontario, mentre il Gip Giuliano Castiglia, del tribunale ordinario, aveva già confermato il Pagliarelli per G., il fratello più grande, con l’accusa di porto e detenzione illegale di arma da fuoco. G.O., pescivendolo e con un figlio piccolo, ha dichiarato di non aver visto nulla perché, nel frattempo, era caduto a terra svenuto, a causa dell’aggressione di Celesia. Il difensore presenterà al più presto il ricorso al tribunale del Riesame. Lo stesso accadrà anche per M., anche se è evidente che le due posizioni sono differenti. In ogni caso, così come tiene a precisare l’avvocato Amoroso, da parte del diciassettenne non ci sarebbe nessuna strategia per coprire il fratello più grande, che al contrario di lui rischierebbe l’ergastolo, se riconosciuto colpevole di omicidio. Il minore avrebbe agito per paura: dieci giorni prima, nei disordini alla Vucciria da cui sarebbe partito tutto, Celesia avrebbe colpito G. con una bottiglia e M. si sarebbe talmente intimorito da munirsi di una pistola, presa a Ballarò con l’intercessione di uno zingaro.
Ricostruzione per nulla creduta da chi indaga. Anche perché quella che ha sparato non sarebbe stata l’unica arma presente nella discoteca di via Calvi. Tra i frame in loro possesso, infatti, gli investigatori ne hanno isolati alcuni in cui si vedrebbe anche il più grande dei due fratelli impugnare un’altra pistola, la seconda che così entrerebbe a far parte della scena del crimine. Un episodio che è stato contestato al minorenne, il quale anche questa volta scagionerebbe il fratello da guai maggiori parlando di una pistola a salve, comprata solo «per incutere timore, se ci avessero assalito nuovamente dopo quello che era accaduto alla Vucciria. L’aveva in mano mio fratello quando l’ho accompagnato fuori dal locale ma serviva solo per tenere lontano quelli che volevano farci del male».