L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma su 5 arresti a Palermo per l’oro fuso.
I lingotti d’oro viaggiavano comodamente nascosti sulle auto della mafia che li traghettava oltre lo Stretto e li piazzava sul mercato nazionale per ricavarne merce pulita e immacolata. Erano frutto della «fusione» di collane, bracciali, anelli rubati durante i furti o messi nei borsoni dei rapinatori che agivano in città e venivano dirottati da compro oro selezionati dalla famiglia di Porta Nuova. Un meccanismo di riciclaggio silenzioso, che dava poco nell’occhio anche nel trasporto e che avrebbe prodotto in pochi anni un giro di affari di circa 75 milioni. Cinque arresti e 27indagati nell’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Poalo Guido e dai sostituti Giulia Beux, Dario Scaletta e Gaspare Spedale. In carcere sono finiti Vincenzo Luca, 47 anni, Rosario Luca, 42 anni, Sergio Rubino, 54 anni, ai domiciliari Francesco Luca, 74 anni e Ilenia Catalano.
Sono accusati di associazione di stampo mafioso, ricettazione e riciclaggio. Le perquisizioni della Guardia di finanza hanno portato al sequestro di cinque imprese e di un patrimonio che ammonta a circa 5 milioni. Oltre alla Luca Tradingsrl di via Pisani, sigilli ai compro oro di Giovanni Falanga in via Sampolo, Monica Li Calsi in via Petrarca, Antonio Augugliaro in via Maqueda e Maria Viola in via Umberto Giordano. Sotto la lente dei finanzieri del Nucleo di polizia valutaria e della Dda, le ramificazioni «preziose» degli affari del mandamento di Porta Nuova, diventata la cabina di regia dei proventi dei colpi. Tutta la refurtiva in gioielli veniva subito messa in sicurezza da fidati commercianti del settore che facevano tornare a brillare quell’oro sporco. I boss, naturalmente, hanno goduto per decenni di un tornaconto a bassissimo rischio e molto redditizio. Accumulando un tesoretto non da poco. Come? Il modus operandi del business è chiarito nell’ordinanza firmata dal gip Filippo Serio. Gli investigatori, guidati dal tenente colonnello Pietro Sanicola, sono partiti da alcune segnalazioni di operazioni sospette, hanno poi ricostruito tutti i passaggi di oro e denaro.
È emersa l’esistenza di un sistema illecito che esercitava un capillare controllo sulle attività di riciclaggio e ricettazione dei metalli preziosi di provenienza delittuosa. La società dei Luca, in particolare, nel triennio 2016-2018, ha dichiarato operazioni di cessione di oro per oltre 2,19 tonnellate, per un controvalore di oltre 75 milioni di euro. Una partenza con il botto sponsorizzata dal padrino e allora reggente della Kalsa Luigi Abbate, detto «Gino u mitra», che in nome del legame di parentela con i Luca, li aveva finanzianti con 100 mila euro. Investimento, fondamentalmente, a costo zero per il boss: quel denaro era infatti a sua volta provento di un colpo avvenuto nel 2011. Un ciclo infinito di soldi sporchi, insomma, che giravano come sopra una giostra sempre in funzione. Con «giri» d’affari a dieci cifre.