L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sull’arresto di Mimmo Russo.
La variante al piano regolatore del Comune di Palermo per far fiorire sul verde agricolo cemento e attività commerciali. In cambio posti di lavoro per alimentare il business di consensi elettorali. Un sistema deviato, fatto di favori e scorciatoie tecniche e burocratiche, su cui si sarebbe poggiata la fortuna elettorale di Girolamo «Mimmo» Russo, 69 anni, che per ben 21 anni consecutivi ha occupato saldamente uno scranno del consiglio comunale di Palazzo delle Aquile.
In realtà sono 40 gli anni se si considera anche il periodo in cui è stato anche consigliere di circoscrizione. Ieri all’alba Russo, esponente di Fratelli d’Italia già sospeso dal partito, è finito in carcere nell’ambito di un’inchiesta della Dda, la direzione distrettuale antimafia, con altri due uomini di spicco invece finiti ai domiciliari: Gregorio Marchese, 61 anni, figlio del boss Filippo soprannominato “Il milinciana”, e Achille Andò, 73 anni.
La triade costituì, secondo gli inquirenti, quello che viene definito un comitato d’affari. In un vortice di corruzione e malaffare, i voti sarebbero stati svenduti per un posto di lavoro o per qualche centinaio di euro. L’operazione dei carabinieri in particolare ha messo in evidenza come Russo fosse vicino a Cosa nostra. Era proprio a detenuti, boss e loro parenti strettissimi che il ras delle cooperative sociali e indiscusso «capo popolo» degli ex Pip, uno dei tanti bacini di precari in Sicilia, strizzava l’occhio e garantiva posti di lavoro e favori di ogni tipo.
Questo grazie al fatto che avesse le mani in pasta dentro al Comune ma anche in un sindacato, in pratica tutto quel che gli serviva per tentare di accontentare chi di dovere e continuare a fare proseliti, in termini di consensi alle elezioni che nel tempo si sono succedute, in certi ambienti malavitosi. Proprio il suo ufficio che fungeva da Caf, in corso Scinà al Borgo Vecchio di Palermo, era diventato una sorta di quartier generale.
Qui infatti garantiva anche lo svolgimento di periodi di affidamento in prova ai servizi sociali, grazie ai quali otteneva la scarcerazione di soggetti appartenenti a Cosa nostra. Quel che viene fuori nell’inchiesta, partita nel 2022, è una catena di episodi dai risvolti inquietanti. Il sessantanovenne gestiva soldi ma anche buoni benzina, generi alimentari ed altre utilità che utilizzava proprio come merce di scambio per ottenere voti. Secondo gli inquirenti in questo modo riusciva ad acquistare consistenti pacchetti di voti dal suo corpo elettorale, in modo da cercare di avere una posizione dominane ad ogni elezione, sia comunale che regionale.