L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sull’omicidio a Brancaccio.
«Mi cunsumai, mi cunsumai…». I pugni in testa e la voce rotta mentre varcava il portone della caserma Carini per consegnarsi spontaneamente ai carabinieri, accompagnato dal suo legale. Come anticipato dal Giornale di Sicilia, giovedì sera Alessandro Sammarco, il ventenne difeso dall’avvocato Corrado Sinatra che si è accusato di aver ammazzato con almeno due colpi di pistola alla testa Natale Caravello, 47 anni, l’operaio Reset padre della ragazza di cui si era innamorato, col suo racconto ha tolto dal campo la pista mafiosa dietro al delitto che ha insanguinato via Pasquale Matera a Brancaccio. Sull’asfalto il corpo di Caravello accanto ad uno scooter elettrico nero e, lì vicino, i bossoli. Attorno, dietro al nastro bianco e rosso, la folla ad assistere a quella scena di violenza nel quartiere.
Questione di contrasti fra il giovane e la vittima: nella ricostruzione che Sammarco ha fornito, le indagini sono affidate alla polizia, le liti violente fra i due ci sarebbero state anche in passato e sempre perché la famiglia Caravello non voleva quel fidanzamento. Almeno è quanto emerge dalla confessione di Sammarco ma i parenti dell’uomo ucciso hanno, invece, ribadito agli inquirenti che il sentimento di Sammarco non era per niente ricambiato dalla ragazza. Ossessionata dai suoi comportamenti. Lui, che ha per zio il boss Giuseppe Bronte e un passato con accuse di spaccio di droga, lavorava nella bottega di generi alimentari del nonno. Di certo c’è che giovedì sera il giovane e Caravello si sono incrociati in strada. Sammarco girava armato ma la pistola, una calibro 22 detenuta illegalmente secondo gli investigatori, l’avrebbe tirata fuori dopo la reazione violenta di Caravello che l’aveva visto passare. Una lite a cui potrebbe aver assistito più di un testimone. Sarebbero volate delle bottiglie d’acqua, usate per colpire e finite fra gli elementi raccolti dalla polizia scientifica sul luogo dell’omicidio.
L’udienza per la convalida del fermo, disposto dal sostituto procuratore Gianluca De Leo, è stata fissata per quest’oggi e potrebbe servire a chiarire ancora alcuni punti oscuri nella ricostruzione dei fatti, in attesa che arrivi l’esito dell’autopsia a indicare l’esatto numero di colpi andato a bersaglio. «Volevo sua figlia ma lui ce l’aveva con me, l’ho ucciso…», le sue prime ammissioni. «Era sconvolto – riferisce l’avvocato Sinatra – mi ha raccontato cosa fosse successo e siamo andati insieme in caserma». Poi l’interrogatorio è proseguito nelle stanze della Squadra mobile e, infine, il trasferimento in carcere. «Era una situazione che andava avanti da un anno circa. Il padre della ragazza si opponeva al rapporto con la figlia – aggiunge l’avvocato -. Il mio assistito ha raccontato che, mentre girava in moto per il quartiere, è stato bloccato da Caravello. Gli si è parato davanti. Sammarco ha estratto la pistola e ha sparato. Ha affermato di non aver mirato. Era disperato e ha detto più volte che con il gesto di giovedì sera si è rovinato la vita».
Il passato criminale di Caravello (con precedenti per rapine e furti) aveva fatto ipotizzare che dietro all’omicidio ci fosse un regolamento di conti all’ombra della mafia. Niente di tutto questo, come era stato anche per un altro fatto di sangue, in quel caso alla Vucciria. Emanuele Burgio (figlio di Filippo, cassiere della mafia, al servizio del boss di Pagliarelli Gianni Nicchi) venne ammazzato a colpi di pistola la notte del 30 maggio scorso ma la sua morte sarebbe stata legata ad astio e rancori per un banale incidente stradale. Una tocca ta con lo specchietto diventata un’offesa plateale da vendicare coi proiettili. E nelle intercettazioni per il delitto Burgio la rivelazione dell’acquisto della pistola «ieri sera da un tunisino, 200 euro e mi cunsumai», aveva detto Matteo Romano. Già, «mi cunsumai». Come Sammarco.