L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sulla tassa sui rifiuti a Palermo.
Il Comune di Palermo in questi giorni sta inviando ai contribuenti la lettera con l’invito a saldare la seconda
rata della Tari entro il termine di scadenza del 2 dicembre. Si tratta della tassa molto evitata dai palermitani che sta dando i maggiori grattacapi a un’amministrazione sull’orlo del dissesto e in questo momento flagellata da un’inchiesta giudiziaria su una presunta falsificazione dei bilanci che ha coinvolto anche il sindaco, Leoluca Orlando.
Fra guerre intestine, pandemia, polemiche, populismi e tornaconti elettorali quest’anno l’aliquota della tassa non è cambiata. La richiesta dell’amministrazione di incrementare il gettito di 27 milioni di euro spalmato in tre anni (9 all’anno) per pagare gli extracosti sostenuti per portare fuori città i rifiuti dopo la saturazione della discarica, sfruttando una dilazione concessa dal governo nazionale per la crisi sanitaria, è stato fermato in Consiglio comunale e dunque tutto è rimasto cristallizzato ai valori del 2020. Ma l’aumento è solamente rinviato, la legge impone che il costo del servizio debba essere interamente assorbito dalla tassa.
La dirigente del servizio Tributi, Maria Mandalà, firma la lettera di accompagnamento dell’F24 già precompilato spedito a migliaia di contribuenti. Ma quanti di questi pagheranno è un mistero. Su una morosità a doppia cifra, però, è facile facile scommettere, senza rischiare di perdere la posta. Dal 2016 al primo semestre di quest’anno, infatti, il numero di omessi pagamenti ha assunto profondità disastrose: 947 mila. Che corrisponde a un importo complessivo di 291 milioni e 84 mila euro, qualcosa come il 38 per cento di tassa «evasa». Molto oltre un terzo del gettito atteso manca all’appello e questo provoca uno squilibrio strutturale nel bilancio. Palazzo delle Aquile, in[1]fatti, ha firmato con la Rap (l’azienda di igiene ambientale) un contratto di servizio di circa 128 milioni all’an[1]no che in ogni caso deve onorare.