L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sul bilancio del comune di Palermo.
Le truppe si riuniscono e ci si rimette in marcia sul viatico dei conti e di bilanci da far quadrare. Ma l’esercito dei consiglieri avanza con il fumo negli occhi, nella nebbia di leggi, pareri e interpretazioni che invece di facilitare decisioni creano ancora più confusione. Il nodo ora è il dissesto differito di due anni, qualora non si approvasse entro fine mese il piano di riequilibrio finanziario che piace a pochi. Con una nuova norma, che sarebbe fresca di pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale, viene rimesso in dubbio un punto fondamentale sul paventato fallimento dell’Ente.
La Corte dei Conti non potrebbe dichiarare il default per altri due anni. Una sorta di ulteriore proroga, o moratoria che cambierebbe tutte le carte in tavola. Eppure, anche un articolo di legge getta nel panico tutti: dal segretario al ragioniere generale, fino ai revisori e perfino il sindaco Orlando chiede lumi. Vero, non vero, e allora si perdono i fondi statali, ma quando mai, quelli sono altri filoni di finanziamento e l’accordo con il Governo si può fare lo stesso. Ma le assunzioni dei dipendenti comunali si possono fare lo stesso? Caos, fogli, polemiche, silenzio, risposte a metà. Il comma 578 lascia in… coma il Consiglio. Nessuno vince, tutti perdono l’occasione di fare passi avanti mentre la città attende come un condannato a morte che spera nella grazia.
La provvidenza divina però c’entra poco con i numeri, con i debiti, con le tasse. Oggi nuova seduta e forse un voto. «Diventeremmo la città d’Italia con la pressione fiscale più alta d’Italia – tuona Ugo Forello, di Oso -. Nel piano modificato si prevedono aumenti spropositati rispetto ad oggi. Il collegio dei revisori aveva spiegato che nei primi 2 anni del piano, l’Irpef non poteva aumentare più del doppio. Ma nelle proiezioni delle tabelle, già quest’anno passeremmo dallo 0,8% all’1,6 e poi nel 2023 all’1 ,7 %».