L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sull’omicidio di Roberta Siragusa.
Giubbotto nero, jeans e sul volto un’espressione impassibile: nell’aula del Tribunale di Termini Imerese dove si è deciso il suo rinvio a giudizio, Pietro Morreale non ha aperto bocca mentre veniva respinta la richiesta del processo col rito abbreviato e nemmeno quando è stata fissata la data d’inizio del processo. Dovrà comparire il primo marzo, davanti alla Corte d’assise nell’aula bunker del carcere di Pagliarelli, il giovane accusato di aver ucciso Roberta Siragusa, la diciassettenne di Caccamo trovata morta in un dirupo dopo che i due fidanzati erano stati visti andare via, dopo aver litigato, da una festa la notte del 23 gennaio dello scorso anno.
Il rogo e le indagini. Il corpo della ragazza fu trovato proprio sulla scorta delle indicazioni fornite da Pietro Morreale. Era parzialmente bruciato, finito in un burrone a Monte San Calogero alle porte di Caccamo. Il ventenne, difeso dall’avvocato Gaetano Giunta, ha sempre respinto le accuse. Agli inquirenti ha detto, più volte fino all’ultimo interrogatorio del 20 dicembre scorso, che quella discussione avvenuta davanti agli amici sarebbe andata avanti e Roberta, dopo essersi cosparsa di benzina, si sarebbe data fuoco e sarebbe caduta nel dirupo. Morreale si era difeso dicendo di aver cercato di salvarla e in quel tentativo si sarebbe anche bruciato una mano.