L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sull’inchiesta a Palermo che coinvolge Gianfranco Micciché.
«Entrambi gli indagati hanno manifestato una spiccata propensione allo sperpero e all’accumulo illecito di denaro pubblico per assolvere ad attività ed interessi di carattere privato, ponendo in essere attestazioni, documentazione e operazioni in generale volte a caricare sulle casse delI’Ars i costi connessi alle attività attinenti alla loro sfera personale e, al contempo, a lucrare sulle indebite erogazioni provenienti dal medesimo ente pubblico». È pesante il giudizio del gip Rosario Di Gioia, che ha firmato, su richiesta del procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, l’ordinanza dell’inchiesta sull’uso disinvolto dell’auto di servizio dell’Assemblea regionale da parte dell’ex presidente Gianfranco Micciché e del suo autista Maurizio Messina, indagati per peculato, truffa e false attestazioni.
Gli accertamenti della guardia di finanza hanno permesso di scoprire non solo viaggi al di fuori delle missioni istituzionali ma anche manovre per gonfiare note spesa e alcuni piccoli vizietti, come la frequentazione di sale scommesse da parte del dipendente di Palazzo dei Normanni. Al primo è stato imposto il divieto di dimora a Cefalù e gli sono stati sequestrati poco più di duemila euro, per l’altro obbligo di dimora a Palermo e Monreale e sequestro da 10 mila euro (le somme sono relative al presunto danno provocato dal distorto utilizzo dell’Audi dell’Ars).
Le carte chieste dall’Ars. Ieri l’amministrazione dell’Assemblea regionale ha annunciato di avere chiesto alla magistratura gli atti dell’inchiesta per avviare un’azione disciplinare nei confronti di Messina. Ma non è chiaro che tempi ci vorranno per la definizione del procedimento. Sia Miccichè sia Messina, nonostante i ruoli, rispettivamente, di parlamentare e di impiegato del Parlamento regionale, incarichi retribuiti ben al di sopra delle paghe medie italiane, sembrano non navigare in acque floride da un punto di vista economico. Il giudice, citando gli esiti delle indagini e delle intercettazioni, sottolinea: «L’attività captativa ha dimostrato l’uso disinvolto, da parte di Miccichè, delle carte di pagamento associate ai propri conti, sovente lasciate nella materiale disponibilità delle persone più fidate, come ad esempio Salvatore Serio, al quale Miccichè contestava di aver mentito sull’importo del prelievo effettuato nella giornata precedente (“…tu m’avevi ritto 600 e comunque ni pigghiasti 1.000, perché m’arrivò una cosa di ieri ed è 1.000…”). Inoltre, l’analisi dei rapporti bancari e finanziari allo stesso personalmente intestati evidenzia una accentuata volatilità delle giacenze e delle provviste ivi presenti, tanto da spingerlo, in diverse occasioni, a chiedere soldi al proprio entourage»