Gds: “La tragedia di Casteldaccia. Il tragico destino dell’operaio interinale di Palermo, da bambino era scampato ad una sparatoria
L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sulla tragedia di Casteldaccia.
All’età di nove anni un proiettile vagante lo aveva colpito al gluteo sinistro, per poi insinuarsi fino zona dell’ileo, mentre giocava in via Giovanni Verga con i suoi amici – per uno strano scherzo della sorte – con delle pistole giocattolo. Per poco, Giuseppe La Barbera, non era rimasto vittima di un conflitto a fuoco tra le strade dell’Albergheria di Palermo, suo quartiere natale.
A distanza di vent’anni da quel folle episodio, chi ha visto crescere Giuseppe è costretto a piangerlo. «Sembra quasi avesse il destino segnato». Lapidarie e piene di rabbia. Parole che tristemente scivolano fuori dai pensieri di una signora, memoria storica di porta Sant’Agata. Con lei ci sono tanti ragazzi, con sguardi bassi e pieni di incredulità.
Chiacchieriamo con loro proprio in via Giovanni Verga, luogo della sparatoria e dove
da generazioni c’è l’attività di famiglia. I La Barbera riforniscono ancora oggi tutto il quartiere di bombole a gas: sono tutti conosciutissimi e i ragazzi, oggi trentenni, sono stati compagni di giochi di Giuseppe. Un foglio è stato appeso alla porta del negozio, subito dopo l’arrivo della notizia della strage di Casteldaccia. «Chiuso per lutto».
«È sopravvissuto ad un colpo di pistola per poi morire lavorando», rimarca un ragazzo suo amico, che preferisce restare anonimo. Nato e cresciuto tra le strade della città vecchia, Giuseppe adesso viveva a Villabate con la moglie e i due suoi figli. «Proprio
lo scorso 2 maggio – racconta un altro suo amico – il bambino ha compiuto un anno. È una tragedia, non riesco a pensarci. Probabilmente non l’ho ancora realizzato del tutto».
Da tutti La Barbera viene descritto come un gran lavoratore, «instancabile», sempre pronto a dare una mano a tutti. «Fin da ragazzo – raccontano i componenti del gruppetto – si è sempre dato da fare. Ha sempre lavorato, facendo un po di tutto, ma in modo particolare aiutando i suoi con il negozio. Faceva lui le consegne ma sbrigava anche altre faccende». Poi, negli ultimi due anni il nuovo lavoro: «Era riuscito ad entrare in Amap – proseguono gli amici – era molto felice ed orgoglioso di questo. Lo faceva con passione. Quando tornava da queste parti – proseguono – aveva sempre una parola per tutti. Chiedeva come stessimo, cosa facessimo e ci dava sempre tanti consigli. Era un buono».