L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” parla dell’ultimo bollettino legato al Coronavirus. È il giorno più nero da quando giusto un mese fa, con il paziente 1 di Codogno, è scoppiato l’incubo Coronavirus. Un venerdì nero, listato a lutto, che porta a 4.032 i morti, 627 soltanto quelli di ieri. È il numero più alto dall’inizio dell’emergenza. Il bollettino aggiornato spiega che sono 37.860 i malati (+4.670), 47.021 se si contano anche vittime e guariti, che ieri sono stati 689 più di ieri (5.129 in tutto). Balzo anche dei medici contagiati: 659 in 48 ore, 3.359 in tutto. Una lotta di cui ancora non si vede la fine, come hanno ammesso sia il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli sia il geriatra e membro del Comitato tecnico scientifico Roberto Bernabei. «Non sapremo mai quando sarà il picco, non c’è un dato scientifico» ha detto il primo, mentre Bernabei non ha escluso che i provvedimenti di contenimento possano durare ancora a lungo, anche fino all’estate. «Tutto è possibile». L’unica notizia che lascia un po’ di speranza, dunque, è che al centrosud per il momento i contagi sono contenuti. Non c’è dunque una crescita esponenziale. «Le misure di contenimento iniziano a funzionare – dice ancora Bernabei – non è accaduto qualcosa di paragonabile a quanto successo al centronord». Non è poco, nella guerra quotidiana. L’andamento della curva epidemica del Covid-19 in Italia segna una situazione ancora «pesante» e prima della fine di marzo, secondo gli epidemiologi, sarà difficile vedere l’effetto delle misure più restrittive adottate. Ma anche a fronte di un calo dei nuovi casi, avvertono, il rischio di una nuova ondata epidemica esiste e le misure restrittive «per ora non potranno essere allentate». L’estate, forse, potrebbe rappresentare il punto di svolta. La situazione, è l’analisi del direttore del dipartimento Malattie infettive dell’Istituto superiore di sanità Gianni Rezza, «è molto pesante, va male. C’è un aumento dei contagi e dei morti». La curva «in salita» di morti e contagi, afferma, «si spiega probabilmente con il fatto che si stanno ammalando persone che si erano contagiate prima dell’entrata in vigore, lo scorso 9 marzo, delle misure più restrittive con l’indicazione di restare a casa». La speranza sta ora proprio nell’effetto che tali misure dovrebbero portare. Quanto al picco atteso si spera che «un picco nazionale non ci sia, proprio grazie alle misure in atto». Ed anche il commissario all’emergenza coronavirus, Angelo Borrelli, ha sottolineato in conferenza stampa che è difficile prevedere il picco: «Non c’è un dato scientifico in merito, ma valutazioni che devono trovare riscontri effettivi». Anche secondo Pier Luigi Lopalco, professore di Igiene all’Università di Pisa e responsabile per l’epidemiologia nella task force per il coronavirus della Regione Puglia, «non possiamo aspettarci una diminuzione dei morti con questo andamento in crescita dei casi». Per ora dunque, fondamentale è mantenere le misure di isolamento ma già pensando al «dopo», per prevenire un eventuale temuto ritorno dell’epidemia. Il rischio, anche dopo un periodo di assenza di nuovi casi come per il comune di Vò Euganeo, «esiste, ed è alto», conferma Lopalco. Nel caso di Vò, «la segnalazione di un nuovo caso, dopo giorni di assenza, potrebbe essere legata ai movimenti in entrata o uscita dal comune o al peso degli asintomatici». Ad ogni modo, «la possibilità che in una comunità, dopo un’ondata epidemica ed uno stop di casi, possano presentarsi nuovi casi di contagio, esiste». Tenendo conto di questo, avverte l’esperto, «prevediamo che l’epidemia sarà appunto ancora lunga. Un eventuale rallentamento delle misure andrebbe fatto con estrema cautela, non sicuramente nell’arco dei prossimi mesi». Considerando l’andamento della curva, dunque, secondo l’epidemiologo «l’Estate potrebbe essere il punto di svolta per lo stop alla misura del rimanere a casa». Le misure restrittive, conclude Lopalco, «vanno assolutamente mantenute, fino a quando tutti i focolai saranno spenti». Il commissario straordinario all’emergenza Covid-19, Domenico Arcuri, d’accordo con il ministro della Salute, Roberto Speranza, e il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, appresa la notizia che un’azienda italiana produttrice in Lombardia di un farmaco ritenuto essenziale nell’affrontare l’emergenza, e in particolare per mantenere sedati i pazienti intubati in terapia intensiva, ha intanto disposto con un’ordinanza la requisizione, che gli è permessa per legge, del quantitativo che stava per essere esportato» da un’azienda farmaceutica. Il farmaco sarà immediatamente distribuito agli ospedali che ne hanno bisogno». Con il primo paziente ricoverato in terapia intensiva da ieri pomeriggio è operativo il primo ospedale da campo in Italia. Si tratta di quello allestito in tempi da record, 36 ore, davanti al nosocomio di Cremona e donato da Samaritan’s Pursue, una organizzazione umanitaria cristiana evangelica statunitense, che con i suoi medici e le sue attrezzature si è messa a disposizione per dare una mano e salvare vite in una delle zone più colpite dal Coronavirus. La struttura, composta da 15 tende per ospitare 60 letti per pazienti positivi ma non gravi e altri 8 in rianimazione, un laboratorio analisi e una sala per le radiografie, una farmacia e tutti i servizi necessari, nel giro di pochi giorni funzionerà a pieno regime ed è una vera e propria «manna dal cielo» per l’ospedale con cui condividerà i protocolli assistenziali e le cartelle cliniche. Ospedale che pochi giorni dopo la scoperta del primo caso positivo a Codogno, esattamente un mese fa, si è trovato in una «situazione drammatica», come ha raccontato ieri mattina prima della cerimonia della «dedication» Antonio Cuzzoli, direttore del dipartimento di urgenza ed emergenza. In città mancano i letti di rianimazione che pian piano sono stati riempiti, anche da pazienti di 30 anni e con un quadro clinico critico. E non è servito a niente moltiplicarli giorno dopo giorno, addirittura trasformando le sale operatorie perchè, oramai da tempo sono esauriti.