L’edizione odierna del “Giornale di Sicilia” si sofferma sulle motivazioni relative alla sentenza di secondo grado sul Palermo. La retrocessione in Serie C per i rosanero era una sanzione «del tutto corretta», ma la Corte d’appello non aveva gli strumenti per quantificare l’effettivo falso in bilancio e ha deciso di trasformarla in una penalizzazione di 20 punti con multa da 500 mila euro «in virtù della formula “insufficienza di prova ”in ordine alla specifica quantificazione delle voci di bilancio alterate». Manca la certezza delle prove sui quattro falsi in bilancio che avrebbero permesso al Palermo di iscriversi a tre campionati di fila. I giudici avevano la necessità «di verificare se le alterazioni od erronee e/o infondate rappresentazioni dei dati contabili di cui si è detto fossero, nella loro consistenza numerica, tali, appunto, da rendere possibile l’iscrizione ai campionati, altrimenti preclusa». Il collegio presieduto da Paolo Cirillo ha ribadito «la necessità di una corposa rideterminazione, in riduzione, della misura sanzionatoria». Senza negare la gravità delle violazioni, «per altro reiterate nel tempo, indice di una gestione economico-finanziaria e patrimoniale della società lontana dalle regole di prudenza contabili, nonché dai principi di lealtà e probità sanciti dal nostro ordinamento settoriale». Il -20 in classifica ha tolto al Palermo «soltanto la possibilità di disputare i play-off per la promozione in Serie A, dunque, una chance, ma non già la certezza della A», motivo per cui la Corte ha ritenuto tale sanzione «congrua ed equilibrata». La retrocessione in Serie C, decretata dal Tribunale federale nazionale, era comunque considerata una pena «adeguata e proporzionale alla gravità delle violazioni accertate».