L’edizione odierna de “Il Giornale di Sicilia” si sofferma sul caso Di Giacomo.
Di una cosa il mondo legato a Cosa nostra, e il tam tam di familiari di affiliati o sospettati di mafia, era certo: dietro l’uccisione di Giuseppe Di Giacomo, il nuovo reggente del mandamento di Zisa Porta Nuova, c’era la mano della cordata che ambiva al suo ruolo. Le parole di Giovanni Di Giacomo, il fratello della vittima dell’agguato del 12 marzo 2014, erano finite in un’intercettazione dei carabinieri che indagavano sulla cosca anche dopo il suo arresto. E avevano intercettato un telegramma in codice, inviato dal fratello Marcello al detenuto: «Caro Gianni la salute del bambino tutto bene un unico abbraccio, ti vogliamo bene». Parole criptiche dal significato inequivocabile peri carabinieri; în città era tutto pronto per una nuova guerra di mafia che avrebbe squassato la cosca di Porta Nuova pur di vendicare la morte di Giuseppe, assassinato sotto gli occhi del figlio di 8anni invia Eugenio l’Emiro.
Per questo delitto, lunedì è stato arrestato Onofrio Lipari detto Tony, 32 anni: la Direzione distrettuale anti- mafia – coordinata dal procuratore Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido – e i carabinieri del Nucleo investigativo, guidati dal tenente colonnello Salvatore Di Gesare, lo ritengono responsabile materiale della morte di Di Giacomo, decisa da Tommaso Lo Presti detto il Gabibbo o il Pacchione, per il quale per il gip Filippo Serio non ha dato seguito alla richiesta di emissione di un ordine di custodia cautelare.